Tra i non pochi debutti dell’edizione 2014 di Collinarea (festival estivo installato a Lari con buona tradizione: siamo al 16° anno) spicca questo Riccardo III prodotto dalla feconda compagnia Teatro Minimo. Michele Sinisi, che ne è autore e unico protagonista, non opta, ça va sans dire, per una fedele riproposizione del lunghissimo dramma storico shakespeariano; sceglie invece una soluzione metateatrale in cui lo spettacolo scaturisce, quasi come emanazione, dalla riflessione sull’opera: il “metter mano” al testo diventa cioè scrittura scenica da offrire alla visione (qualcuno potrà ricordare che un principio non dissimile era alla base di Looking for Richard, film scritto e diretto da Al Pacino una ventina d’anni orsono). La scelta di Sinisi non sorprende per originalità, di questi tempi, e lo stesso si può dire dell’apparato scenografico ridottissimo (un tavolaccio d’alluminio e pochi altri oggetti, un microfono, un paio di cuffie, luci da lavoro, un pallone, uno straccio per pulire); tuttavia sembra essere riscattata da una genuina violenza drammaturgica, che si direbbe quasi didattica, o divulgativa, o mossa dal desiderio di invitare alla lettura (se non fosse evidentemente molto più digeribile da quanti già conoscono il testo e i suoi recessi).
Per esser più chiari, del dramma non resta che la tirata iniziale di Riccardo, una cinquantina di versi dallo splendore poetico cristallino, benché lugubri e forieri di sventure; ma questa non serve ad annunciare, a mo’ di prologo, il corso degli eventi che lo spettacolo mostrerà (funzione che immaginiamo dovesse avere in origine); piuttosto, rimasticata e ripetuta in malo modo (e pessima pronuncia inglese), urlata o sotterrata, scritta a pennarello o disturbata dall’atroce suoneria di un cellulare, funziona come estrema condensazione dell’opera stessa: un’ouverture destrutturata, manipolata, alienata da un interprete teso e ferrigno nell’adeguare la sua performance alla dissennatezza che promana da ogni riga del monologo. E se pure restano intonse le pagine dopo la prima, e non c’è traccia di versi immortali e quasi proverbiali (come «un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo», epitome del progressivo e fatale inabissamento del protagonista, infine sconfitto sul campo di battaglia), varrà forse come difesa la constatazione che lo spettacolo è, come Riccardo, di “rozzo stampo” e destinato all’insania.
Circa cinquanta minuti di spettacolo, ben ripagati dal pubblico stipato nel teatrino di Lari, mercoledì 30 luglio 2014.