Marco Paolini fa il suo ingresso in scena con le luci di sala ancora accese. Il pubblico applaude sulla fiducia, maturata ormai da anni di carriera. L’attore lo blocca e, dicendo: «No, stasera non sono Lui. Sono Jack London», dà inizio alla performance. Protagonista, appunto, l’autore di capolavori epici come Il Richiamo della Foresta, Zanna Bianca, Martin Eden, lo scrittore che «fa morire gli uomini e lascia vivi i cani». Paolini lo fa rivivere ballando, cantando, ululando.
Ballata di uomini e cani comprende tre parti distinte, racchiuse da un incipit e una chiusa. La sezione centrale è costituita da tre racconti, ognuno corrispondente a un protagonista canide. Le storie narrate derivano dall’esperienza nordica del Klondike, con la ricerca dell’oro, la sopravvivenza al gelo infernale, il rapporto complesso e inesauribile tra animale e uomo, quest’ultimo spesso assai più bestia del primo.
Scenografia spoglia, bidoni sparsi qua e là: a centropalco, una pedana sorretta da quattro barili con, ai lati, due scalette; sul fondale, tre file di taniche appese al soffitto che, tramite l’uso di un proiettore, diventano uno schermo o una tastiera (la prima immagine è la sequenza standard qwerty: a ogni tanica corrisponde un carattere). Ecco le didascalie ad alternare i titoli dei racconti: Macchia, «un cane da tiro che non vuole tirare», e che, nonostante i ripetuti abbandoni, come un Pollicino ritrova sempre la strada di casa, col solo impiego del fiuto; Bastardo, animale demoniaco e sanguinario, in lotta addirittura col proprio padrone; Un fuoco, storia di un uomo che cerca, disperatamente e alla fine senza successo, di riscaldarsi per non morire assiderato, arrivando persino a percuotersi per avere un poco di quel dolore uguale calore. Quando le taniche fungono da schermo, ecco il video animato di Simone Massi in cui le parole di Paolini assumono, per la prima volta, un’immagine univoca per lo spettatore, sino a quel momento “lasciato” libero di figurarsi le varie scene sulla scorta dell’avvolgente e suggestiva interpretazione dell’attore.
Nonostante la tematica dura, non manca il divertimento lungo le due ore di performance: dalla battuta metateatrale a quella letteraria, dal melodramma verdiano all’autocritica. Con rapidi balzelli e vorticosi gesti di mani Paolini simula i viaggi della propria muta, talvolta da dietro un bidone, sorta di biga in pompa magna. È lo scattoso movimento del polso, con la mano a forma di paletta a simulare lo scodinzolio del cane-lupo, che, reiterato all’interno dello spettacolo, dapprima accompagnato dalla parola, poi con il solo gesto, diventa il leitmotiv della serata. Paolini in questo modo, non narra: interpreta.
Balla il conducente sulla slitta, balla l’impiccato appeso alla corda e balla la tremula fiamma che ci illudiamo possa far calore. Non si balla, ma si tiene il ritmo con le (stesso prefisso) country ballads, grazie alle musiche dal vivo dei bravissimi Lorenzo Monguzzi (voce e chitarra), Angelo Baselli (clarinetto) e Gianluca Casadei (fisarmonica), che attingono a brani inediti e alle Note Americane (peraltro titolo di un interessante libro sul tema di Alessandro Portelli) del maestro Woody Guthrie, riproponendo This Morning I Am Born Again, che il pubblico, ahinoi, non conosce, dandosi poi un tono cogliendo l’altra citazione, quella del Quartetto Cetra con la Casetta in Canadà.
Non si tratterà, probabilmente, di uno degli indimenticabili cavalli di battaglia di Paolini, ma quanto visto in scena al Teatro Comunale di Pietrasanta rende pienamente onore a Jack London cui è dedicata l’intera performance.
P.S.
Per Marco Paolini (e per coloro che hanno partecipato alla nostra presentazione, lo stesso pomeriggio dello spettacolo): anche stavolta le iniziali di chi scrive sono F.C., l’esito, però, è diverso.