Le sorelle di Emma Dante, tra teatro e ricordo del teatro

Sguardazzo/recensione di "Le sorelle Macaluso"

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Cosa: Le sorelle Macaluso
Chi: Emma Dante
Dove: Siena, Teatro dei Rinnovati
Quando: 04/02/2015
Per quanto: 60 minuti

Sorge dal nero, in una luce lattiginosa, per poi al nero ritornare, fagocitata dal buio che tutto annichilisce.
È l’ultima, pluripremiata, visione di Emma Dante, Le sorelle Macaluso, precipitato onirico, allucinatorio sui temi della famiglia e della morte. Scena spoglia, cruda: ad alimentar la fantasia dantiana non servono arredi né trucchi di sorta. Tutto è nei corpi degli attori, in quella forma indistinta, nerovestita e danzante che abita per prima l’antro oscuro della scena: si muove di grazia aliena, poggiata a una musica silente. Fluttua rotonda e leggera, reminiscenza, quasi citazione, del repertorio coreografico di Pina Bausch, ormai classico contemporaneo. Non è l’unico rimando ai maestri che la drammaturga/regista ci par dichiarare, ma non qui sta il punto. Ogni opera d’arte agisce sul linguaggio, non a partire dal, inscrivendo nella forma le peculiari coordinate del proprio “funzionamento”. E ciò accade sempre con Emma Dante: le figure antropomorfe si moltiplicano, affollano lo spazio, tracciano un improbabile corteo funebre grazie a minime variazioni gestuali. Poi, in bilico di proscenio, ecco l’articolata battaglia tra pupi a chiudere il “prologo”, a chiarire cosa fossero quelle latte appoggiate lì, al confine del boccascena.

Emma Dante, 'Le sorelle Macaluso' (ph. Carmine Maringola, da stabilenapoli.it) 19Dalle brune tonalità dell’indistinto si slitta ai cromatismi sgargianti dei vestitini estivi delle sette sorelle: il colore è luce opposta al buio, principium individuationis opposto all’informe. Ecco i personaggi ed ecco la lingua, un siculo materico e spezzato a permeare tutta la storia. Che è trasognata e paradossale rimembranza (d’una gita al mare, di una e più morti, dei due genitori) a margine d’un funerale. Il groppo gutturale lascia cogliere solo qualche termine all’orecchio d’un pubblico spiazzato, ma abbacinato dall’estrema potenza e pulizia del disegno. Le sorelle pigolano, scherzano, s’accapigliano: c’è il clown grottesco dalla voce sghemba, la pingue esclusa che, relegata in collegio, s’esprime con calata pugliese, c’è la grande, costretta ad accudir le altre, malgrado le aspirazioni da ballerina. C’è teatro e (ricordo del) Teatro, come nella sequenza “marina”: l’epifania di luce riflessa resa col movimento delle mani, memoria (almeno per noi) d’un bellissimo King Lear di Leo de Berardinis.

È tutto un sogno, mescolio di piani e caratteri per una minuta saga famigliare. Colpisce, soprattutto, il mondo di Emma Dante, la capacità di traslare in termini teatrali l’inusitata compiutezza d’uno sguardo, col merito d’infondere della stessa efficacia i propri interpreti. Giovani, poco noti, eppure versatilissimi, centrati, creativi, d’una peculiare e aerea polifonia che permette loro di virar dal tragico al buffo, dal grottesco al patetico, spesso saldando con sorprendente forza gli stati  emotivi (da applausi la sequenza/ricordo del nipote emulo di Maradona precocemente venuto a mancare).

Il limite, non ce ne vogliano premianti  e premiandi, è altrove: nel personale, e non ignorabile, percorso dantiano, Le sorelle Macaluso non è, forse, capitolo dirompente o innovativo. Un lavoro ben fatto cui imputare, per così dire, una sorta di stallo nella ricerca intrapresa da ormai più di dieci anni. Non è difetto: gli artisti hanno il diritto di fare e dire quel che pare a loro, così come di ritornare sui propri temi, sulle proprie forme. Allo stesso modo, i critici (tanto più se arlecchini) hanno quello di rimarcare e analizzare, con la massima onestà possibile (!), quel che pare a loro d’aver veduto.

Emma Dante, 'Le sorelle Macaluso' (ph. Carmine Maringola, da stabilenapoli.it) 10

VERDETTAZZO

Perché: Sì, oppure no
Se fosse... un film di Woody Allen sarebbe... uno di quelli successivi a "Cassandra's Dream"

Locandina dello spettacolo



Titolo: Le sorelle Macaluso

testo e regia di Emma Dante
con Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier
luci Cristian Zucaro
armature Gaetano Lo Monaco Celano
foto Carmine Maringola
produzione Teatro Stabile di Napoli, Théâtre National (Bruxelles), Festival d’Avignon, Folkteatern (Göteborg)
in collaborazione con Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale
in partenariato con Teatrul National Radu Stanca – Sibiu


Il Teatro Stabile di Napoli, nell’ambito del progetto europeo “Città in Scena – Cities on Stage” torna a produrre una creazione di Emma Dante Le sorelle Macaluso. Nella sua nota, la regista palermitana scrive: "Un controluce impedisce ai nostri occhi di vedere sul fondo. Sul fondo c’è l’oscurità. La scena è vuota. Soltanto ombre abitano questo vuoto finché un corpo, dal cono di buio, viene lanciato verso di noi. L’oscurità espelle una donna. Adulta. Segnata. A lutto. Viene danzando verso di noi. Dal fondo, a poco a poco, appaiono tre, cinque, sette, dieci facce. Sono vivi e morti mescolati insieme. Ma non si capisce chi è vivo e non si capisce chi è morto. Tutti sono a lutto. A lutto eterno. Il piccolo popolo avanza verso di noi con passo sicuro. La donna danzante si unisce al corteo. “Le sorelle Macaluso” sono uno stormo di uccelli che partecipano al proprio funerale e a quello degli altri. Sospesi tra la terra e il cielo. In confusione tra vita e morte. La famiglia è composta da sette sorelle, Gina, Cetty, Maria, Katia, Lia, Pinuccia e Antonella morta qualche anno fa. Durante la cerimonia le sorelle si fermano a ricordare ad evocare a rinfacciare a sognare a piangere e a ridere della loro storia. È il funerale di una di loro. Nel confine tra qua e là, tra ora e mai più, tra è e fu, i morti sono pronti a portarsi via la defunta. Se ne stanno in bilico su una linea sopra cui combattere ancora, alla maniera dei pupi siciliani, con spade e scudi in mano. Al momento, immagino un controluce, abiti scuri e un cammino. Una famiglia in movimento che entra ed esce dal buio. Vedo un giovane padre apparire alla figlia cinquantenne, una moglie avvinghiata al marito in un eterno amplesso, un uomo fallito anche da morto, vedo i sogni rimasti sospesi tra le ombre e la solitudine e vedo gli estinti stare davanti a noi con disinvoltura. Tutto si ispira al piccolo racconto che mi fece una volta un amico. Sua nonna, nel delirio della malattia, una notte chiamò la figlia urlando. La figlia corse al suo letto e la madre le chiese: “in definitiva io sugnu viva o morta?” La figlia rispose: “viva! Sei viva mamma!” E la madre beffarda rispose: see viva! Avi ca sugnu morta e ‘un mi dicìti niente p’un fàrimi scantàri. (sì, viva! Io sono morta da un pezzo e voi non me lo dite per non spaventarmi.)

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.