Una cosa piccola ma ben scritta. Se ci lasciassimo contagiare dal prezioso eppur pericoloso virus della sintesi, potremmo risolvere con poche parole la recensione dello spettacolo di Michele Santeramo. Invece la deontologia del cronista teatrale impone un’argomentazione distesa, nonché un giudizio più approfondito.
Piccola ma ben scritta, si può dire, perché La prossima stagione, nuova produzione della Fondazione Pontedera Teatro (cui l’autore, e in questo caso anche interprete, dedica in chiusura un sentito ringraziamento per l’ospitalità), non è un testo drammaturgico di ampio respiro, ma una breve collana di dialoghi, prelevati da una lunga e immaginaria vita di coppia che si prolunga dal 2015 al 2065. Sei dialoghi, uno ogni dieci anni, che seguono l’evolversi di un’esistenza condivisa, banalmente segnata da scelte più e meno impegnative, difficoltà, sofferenze. Ma ogni esistenza è tanto banale quanto unica, e tanto unica quanto esemplare, se la sua narrazione riesce, come in questo caso, a tenere in prospettiva infinite altre presenze.
Lanciandosi nel futuro Santeramo deve fare i conti con la realtà nella quale i due protagonisti si troveranno ad agire, immaginarne i contorni, visualizzare e rendere credibili luoghi, modelli, abitudini: oltre alle fantasie che riguardano l’alimentazione, gli scambi economici e le pratiche di fine-vita (fantasie che non riportiamo per non guastare il piacere ai futuri spettatori), è degna di nota l’invenzione di un dispositivo che permette di vedere i ricordi, impedendo quindi a ciascuno di mentire sul proprio passato. Si tratta di un avvenire ipotetico e non importa quanto sia verosimile. Ciò che conta è che Santeramo faccia di queste fantascientifiche premonizioni la sottotraccia ironica di una storia vissuta, convincendo se stesso e chi lo ascolta che per quanto possano cambiare le mode, i regimi, le credenze, le protesi che integrano il nostro corpo, in una parola le forme del vivere quotidiano, non cambierà il contenuto, ovverosia l’insieme di bisogni e pulsioni che ci rende uomini a prescindere dal luogo e dal tempo che il caso ci assegna.
E dalla presenza scenica di Santeramo, mai debordante nell’interpretare i suoi personaggi né, di contro, impedito dall’umile piattezza del lettore d’occasione, si capisce anche quanto l’autore sia pienamente consapevole delle qualità del suo testo.
I disegni di Cristina Gardumi, proiettati sullo sfondo come illustrazione e supporto visivo, sono pesanti e aerei al tempo stesso, nel decorare le pareti della storia con la libertà fiabesca di un bestiario che pare sottratto a un film di David Lynch e riportato sulle pagine di un libro di Rodari.
ATTENZIONE:
Si precisa che l’autore della recensione non ha veramente visto lo spettacolo. Desiderava vederlo: testimoni possono confermare che si era liberato da altri impegni, aveva richiesto gli accrediti, si era ricordato di fare rifornimento alla macchina. Sciaguratamente, poche ore prima è stato avvisato che la replica era stata annullata. Il disappunto non lo ha distolto dai suoi doveri, e ha deciso di scrivere comunque il pezzo, con fantasia e abnegazione. Facendo ammenda per le eventuali imprecisioni, l’autore si ripromette di rimediare in futuro.