Continua Una gigantesca follia, la rassegna organizzata dal Teatro Verdi di Pisa per indagare il mito di Don Giovanni tra prosa, lirica, concerti, cinema e incontri tematici. Siamo tutti abituati – non senza ragioni – a collegare Don Giovanni alla coppia Mozart-Da Ponte, ma in molti hanno indagato questa figura centrale della cultura occidentale: da Tirso de Molina a Lucio Battisti, passando per Moliére, Gazzaniga e Saramago – per citare solo alcuni nomi che, con modi e stili diversi, hanno contribuito al mito.
La serata del 5 febbraio propone un dittico a dir poco entusiasmante: da una parte Ein Musikalischer Spass zu Don Giovanni dei Sacchi di Sabbia, dall’altra L’empio punito, dramma musicale di Alessandro Melani. Una strana coppia: mentre non mancano occasioni per vedere il “capriccio per boccacce e rumorini” della compagnia tosconapoletana (lo trovate anche nei migliori supermercati), l’opera del pistoiese Melani, datata 1669, la ascoltiamo in prima esecuzione moderna assoluta.
Per chi non l’abbia mai visto (ed è grave), possiamo spiegare brevemente cos’è il Don Giovanni dei Sacchi di Sabbia: una perfetta parodia dell’opera omonima di Mozart, fedelissima, in particolare, alla celebre incisione del 1986 diretta da Herbert Von Karajan. Non ci sono cantanti o strumenti sul palco: solo sei performer in fila per due che spiazzano tutti, intonando versi, pernacchie e vocalizzi col corredo di espressioni facciali improponibili.
Questo meccanismo perfetto, incredibilmente sincronizzato e ai limiti del virtuosismo è perfetto sia per un primo approccio, sia per rispolverare l’opera; ma in questa occasione ha una funzione ancora diversa: fa da ponte (non Lorenzo!) tra la storia che conosciamo e quella più embrionale e primitiva musicata da Melani.
«Don Giovanni è un personaggio capace di vita autonoma; sussiste fuori dalle opere letterarie che l’hanno generato, e dall’una all’altra si tinge di connotazioni nuove», spiega Massimo Mila. A che punto è la leggenda di Don Giovanni nel 1669, quando Filippo Acciaiuoli e Giovanni Filippo Apolloni ne traggono il libretto per L’empio punito? Sono passati meno di quarant’anni da El burlador de Sevilla, il dramma di Tirso de Molina cui si fa ricondurre la nascita del personaggio. Acrimante – questo il nome del protagonista, spostato in Macedonia – è solo un seduttore e ingannatore di donzelle, ben lungi dall’ateo che diventerà simbolo dell’empietà. Non è un signorotto locale, ma un naufrago che si scontra con il potente Atrace nel cercar di sedurre la di lui sorella, Ipomene (leggi Zerlina). Per la sua lussuria viene punito e trascinato all’Inferno tramite la statua di Tidemo, precettore d’Ipomene ucciso pochi minuti prima.
Fatto curioso: al debutto romano fu proibito alle donne di assistere alla rappresentazione dell’opera. Curioso, certo, ma non inusuale: basti ricordare che, al tempo, i cantanti erano tutti uomini (castrati e non). Infatti Acrimante, parte da castrato, è interpretato dal soprano Claudia Muntean. In generale – ad eccezione del baritono Carlo Torriani– sia il tenore Sergio Cabrera Hernandez, sia l’altro soprano Rita Matos Alves passano da un personaggio all’altro, anche cambiando sesso.
Ricapitolando: i nomi dei protagonisti sono diversi da quelli che conosciamo (e alcuni anche molto simili tra loro), gli interpreti cambiano spesso personaggio e la selezione di L’empio punito che viene rappresentata ha molti tagli. Come orientarsi? Ci pensa Giovanni Guerrieri, “capitano” dei Sacchi di Sabbia e responsabile della mise en espace del dramma secentesco, che provvede a proiettare sullo sfondo i nomi dei personaggi e fornisce di mascherine i cantanti per indicarne il cambio di sesso. La vera trovata però è un’altra: reduce dall’esperienza di Piccoli suicidi in ottava rima, Guerrieri inserisce, nei tagli, la voce di Giulia Gallo, altra colonna della compagnia, che canta degli inserti in ottava rima per guidarci nella fittissima trama e per suggerirci i nomi dei personaggi così come li conosciamo.
Altro elemento interessante (e non certo l’ultimo), l’organico orchestrale guidato dal Maestro Carlo Ipata: due violini, un’arpa, una viola da gamba, una tiorba e un violoncello. La sala Titta Ruffo riserva agli Auser Musici un lungo applauso, secondo solo all’ovazione per la performance dei Sacchi di Sabbia.