Su un lato del palco un cavalletto vuoto e, sul fondo, una cornice bassa e larga circonda una tela altrettanto sgombra. «Bruttina», si sente bisbigliare nell’ombra del Teatro San Girolamo. Al di là dei dubbi estetici, queste sono le premesse scenografiche per I tre porcellini – Lupus in fabula, rielaborazione del celebre racconto portata al Lucca Teatro Festival da Renzo Boldrini.
Quando il narratore accede al palco – salendo direttamente dalla platea – porta con sé una grossa valigia, che posa sul cavalletto: la aprirà per svelare l’interno domestico della famiglia dei porcellini (qui antropomorfi), i cui componenti sono disegnati come in un quadro di Botero. Nel raccontare una storia familiare, Boldrini s’identifica con il porcellino più piccolo (e più furbo): emerge la sofferenza del distacco dalla famiglia, quando arriva l’ora, per i tre fratelli, di andarsene dal nido e costruirsi una propria vita (casa inclusa).
È cosa nota e universalmente riconosciuta che i due maggiori siano i più pigri e che solo il cadetto ha la pazienza di costruire una vera e propria abitazione di mattoni: qui ci viene mostrato anche attraverso quella cornice che prende vita grazie a una serie di videoproiezioni. Nel quadro appaiono dei disegni che si animano, anche se piuttosto staticamente: la raffigurazione del lupo e dei porcellini è (quasi) sempre la stessa, spesso semplicemente traslata, come in un teatrino di figurine di carta. Boldrini, nel suo sgargiante completo blu elettrico, a volte interagisce con le proiezioni, come quando gioca a rincorrere i disegni dei fratellini che, al suo arrivo, spariscono o scappano.
Lo spettacolo sembra prendere una piega interessante nel racconto della sofferenza del (necessario) distacco, della ricerca del sé e del senso della propria vita: un viaggio da affrontare in solitaria, come quello nel bosco, un topos della novellistica infantile. Sembra voler affrontare anche il tema dello smarrimento e del lutto, quando i porcellini tornano alla casa natale e la trovano vuota, sotto sopra, come se il lupo avesse attaccato i genitori. Si prospetta insomma, come nel già recensito Il cielo degli orsi, un’altra riflessione sulla morte, ma subito Boldrini fa marcia indietro: i genitori si sono solo momentaneamente allontanati e tutta la famiglia vivrà, riunita, nella casa di mattoni del figlio più piccolo. Si fa inversione verso una ricomposizione forzata di una situazione che sembrava voler davvero raccontare ai bambini che la vita è fatta di sofferenza, allontanamento e perdite da affrontare e comunque superare. Mentre nel voler ricomporre, innaturalmente, la famiglia, si celebrano valori come l’amore tra fratelli, tra genitori e figli scontatamente evidenziati in tanta letteratura per bambini (dai più bei film della Disney ai più scadenti libri illustrati che si possono trovare sullo scaffale di un supermercato).
Insomma, noi i tre porcellini li abbiamo lasciati felici e contenti: aspettiamo di vedere come finirà l’amore fraterno di fronte all’eredità genitoriale. Perché anche mamma e papà muoiono, checché ne dicano le favole.