Mondo cane, o del non sentirsi bene

Sguardazzo/recensione di "Mondo cane"

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Cosa: Mondo cane
Chi: Daniele Turconi
Dove: Lari (PI), Castello
Quando: 31/07/2015
Per quanto: 70 minuti

Non mi piace Tripadvisor (e simili).
Non mi fido di chi non resiste alla tentazione di esternare pubblicamente giudizi come «curato e spazioso, ma la cortesia lascia a desiderare», oppure «da provare a tutti i costi».
Eppure certe volte (troppe?) ho la sensazione che la critica teatrale, a ogni livello, si sia ridotta a questo, per esempio quando commenta i festival estivi, ammucchiando due, tre, cinque spettacoli in un solo pezzo, come le portate di una cena, e non facendosi mancare mai una glossa sul locale e sul servizio – ovvero sul panorama e l’ufficio stampa.

Ahimè, temo che la sindrome (del consumatore pretenzioso) abbia colpito anche me, perché non riesco a incominciare questo pezzo senza dire che l’organizzazione del Festival Collinarea di Lari, edizione dopo edizione, mostra le solite mancanze. Nel piccolo, costipatissimo teatro comunale non sono riuscito a entrare, causa overbooking (lo spettacolo era Gioco di specchi, con Masella e Brinzi; ne scriveranno altri). E l’immancabile slavina di ritardi ha fatto iniziare l’evento successivo 45 minuti dopo l’orario programmato.

TurconiPerò, una volta saliti al Castello, passando per i suoi ariosi e suggestivi camminamenti, che sorpresa! Daniele Turconi è un giovane attore e autore milanese, non debuttante ma quasi. Il suo Mondo cane è una specie di monologo sbiellato, comico e spiazzante, grezzo ma vivo, autobiografico e senza intellettualismi di cartone. Nessuna analogia con il geniale e irripetibile documentario di cui riprende il titolo (anno 1962, artefici Paolo Cavara, Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi). O forse sì, una vaga somiglianza c’è: come quello si sforzava di non piacere, con la crudezza delle inquadrature strettissime, con l’ostentato cinismo, con le arditezze sintattiche del montaggio e della voce narrante, anche Turconi non si cura di fare le cose perbene. Aggiusta alla bell’e meglio il suo materiale, partendo da un incipit sul registro tamarro – tubi al neon, felpa di acetato gialla, occhialoni e sigaretta, pessimi remix come colonna sonora – e chiudendo con un improponibile assolo di danza classica.

Tra la testa e la coda, un corpo sformato: Turconi – calata milanese, incedere nervoso – è protagonista di un susseguirsi di conversazioni prelevate dalla fase postadolescenziale: con la commissione dell’esame di maturità; con la fidanzata, una ragazza “sincera”, pure troppo; con la madre, chiamata in causa solo per ripianare i debiti.

Nel mezzo molti cambi di ritmo e anche un finto finale, dopo il quale arrivano le sequenze migliori: un aneddoto familiare totalmente fuori squadra, eppure toccante (la volontaria assistenza prestata dalla nonna e dal padre agli eroinomani del quartiere); e prima ancora la grottesca telefonata con il responsabile di uno stage non retribuito in Molise (come dire: un vertice professionale al contrario), su cui il protagonista deve ripiegare, dopo aver rinunciato a più ambiziosi collocamenti. A volerlo trovare, è proprio questo il tema dello spettacolo: la tragedia dell’ambizione, che è sempre (sempre!) una condanna e ancor di più quando i tempi non permettono che a pochissimi di emergere; e nella tragedia le bugie, i sentimenti e i fallimenti non confessati, e tutti gli urti psicologici di una generazione.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una patologia sarebbe... la sindrome di Pinocchio

Locandina dello spettacolo



Titolo: Mondo cane

di e con Daniele Turconi
Frigoproduzioni


Più che un monologo un non dialogo con la madre e con la ex fidanzata,dove il protagonista,usando come arma la menzogna,intraprende una lotta passiva contro gli altri e ciò che lo circonda,lasciandosi scorrere addosso una vita imprendibile,indomabile e a volte crudele. La menzogna,appunto, e il mio rapporto con essa sono il tema centrale del lavoro. L’urgenza che mi ha portato a cominciare questo progetto è la mia condizione di venticinquenne condannato a morte ogni giorno dai telegiornali,con i sondaggi sull’andamento del paese,sulla pensione che non vedrò mai,sul lavoro che non avrò mai,sulla vita che non avrò mai. Bombardato ogni giorno dalle previsioni di un futuro infernale,ho voluto lavorare sull’unica cosa che ci può salvare quando stiamo precipitando a caduta libera in un mare di problemi non nostri,la speranza di una seconda possibilità. Il protagonista ha appena finito il suo esame di maturità ed è deciso a fare l’avvocato,figura lavorativa in cui vede una possibilità di cambiamento e riscatto. Quelli con madre, Ragazza e pubblico sono dei non dialoghi, perché invece che cercare una comunicazione il protagonista usa le parole per costruirsi dei muri che lo separano dalla realtà. Egli costruisce mattone dopo mattone un instabile castello fatto di piccole bugie,che alla fine gli crollerà addosso inesorabilmente. Tagli temporali netti lo fanno scorrere di colpo avanti di mesi e a volte anni evidenziando in modo grave la sua progressiva sconfitta,prima come studente,poi come lavoratore e poi in quanto uomo. Così tira avanti,tra una bugia e l’altra, tra uno stage e l’altro…apparentemente in movimento ma in realtà fermo ad aspettare la disfatta. Solo il ritorno improvviso della sua ex fidanzata sembra smuoverlo definitivamente da questa passività e immobilità a cui si è autocondannato,peccato che la ragazza in questione,lo stia cercando nella città sbagliata,facendo crollare anche l’ultima speranza del protagonista che però si accorgerà alla fine di essere di nuovo all’inizio. La mia condizione personale influisce in maniera tremenda nel lavoro,io come il mio protagonista,sono bloccato,inerme…mi faccio schiacciare da tutto per poi esplodere nel momento meno opportuno. Mi attacco a un filo del telefono,metafora di rapporti gelidi,disumani,telematici,distanti. Mi lascio strozzare dalla comunicazione fredda che non comunica nulla e faccio finta che tutto vada bene,che non sia tutta colpa mia,mi diverto e mi crogiolo nella mia condizione di condannato non facendo mai veramente quello che serve per scrollarmi di dosso tutto il fango che ogni giorno,la politica,la famiglia,i mass media,il vicino di casa e il datore di lavoro mi buttano addosso per farmi stare a posto,cioè governabile,rabbioso e mansueto nello stesso tempo,come un cane. Fondamentalmente perché forse trovo conforto nel soffrire.

Carlo Titomanlio
È una persona serissima.