Torniamo a parlare di La prossima stagione. Una visione iniziata in modo travagliato, ma che ha finalmente e per il bene comune trovato il modo di essere trasformata in recensione vera. Ora, sebbene la volontà iniziale fosse quella di condannare spietatamente ciò che l’altra recensione recita, ahimè, questo non può essere possibile.
La storia si muove attraverso una serie di proiezioni. Massimo e Viola sono i protagonisti del testo scritto e interpretato da Michele Santeramo. Uomo e donna, più simili a dir la verità a due grandi gatti antropomorfi nei disegni di Cristina Gardumi proiettati in scena. Il testo e la voce a Santeramo, le didascalie alle immagini.
Massimo e Viola «non sarebbero dovuti nascere». S’incontrano, ognuno con i propri problemi legati a una famiglia poco collaborativa. S’innamorano.
Il futuro si presenta in modo caritatevole. Persi nel sentimento romantico, credono in un avvenire che, malgrado le difficoltà, potrebbero essere in grado di affrontare nel migliore dei modi. Giovani, incoscientemente ottimisti.
Dieci anni dopo. Massimo lavora in una discarica, smaltisce rifiuti. Viola aspetta a casa. Dipinge e aspira alla maternità. Il futuro si affaccia sulla coppia mostrando già il suo lato distopico. Basta una pillola per suggerire un bambino. «Hai cambiato profumo» chiede Massimo al suo ritorno; «no» risponde Viola, eppure la donna sembra avere un profumo diverso.
Passano altri dieci anni. Già adulti, ampiamente inseriti in un’epoca investita dalla tecnologia che entra con forza brutale nelle case di ogni individuo. Le macchine invitano al ricordo, costringono a una verità cui non è possibile sfuggire.
Decennio dopo decennio, le cose peggiorano. Sempre più immersi in un futuro poco promettente, Massimo e Viola si ritrovano a nutrirsi di barrette, invecchiati, appesantiti, ingrassati. Passo dopo passo, riscoprono il loro amore.
Giorno dopo giorno, il mondo cambia sempre un po’ in peggio e sembra non esserci soluzione. Viola vorrebbe ribellarsi, ancora con la forza della gioventù. Massimo non è pronto, restio all’idea di combattere contro il sistema.
I due invecchiano, dall’obesità indotta dal cibo spazzatura alla denutrizione. Muoiono d’inedia a causa di un governo che pretende il loro sangue al posto dei soldi. L’amore, o quantomeno l’amicizia ormai radicata in un rapporto che continua ad andare avanti malgrado le difficoltà, trionfa.
Ormai vecchi, attendono la loro morte su prenotazione.
Il ritmo incalza trovando la sua forza nelle immagini. Santeramo legge, interpreta rincorrendo le parole del proprio testo. Un futuro distopico, forse troppo; tanto da sfiorare il banale. La tecnologia impera, i valori si perdono tritati in snacks, la memoria e il ricordo diventano carburante di un governo che si alimenta d’anime, la stessa morte si sintetizza in burocrazia: il governo ricerca la pulizia e la precisione, non l’emotività.
Una messa in scena a suo modo gradevole ma che si adagia troppo su un’idea di futuro già pensata. Niente di nuovo si nasconde nelle parole di Santeramo che, seppure ottimo interprete, sembra non (voler) vedere più in là del proprio (anche nostro?) naso.