Lino Musella e Paolo Mazzarelli sono i migliori autori di teatro che sia possibile vedere (e leggere) di questi tempi. Dei loro spettacoli precedenti (Due cani, Figlidiunbruttodio, Crack machine, La società) ricordavo con entusiasmo l’impasto di comicità surreale e acutissimo senso del tragico; ricordavo l’intensità aggressiva dei dialoghi, che sembrano emergere da un rumore di fondo alienante, carico di detriti sonori; ricordavo l’attenzione nel far presa sulla realtà senza volerla schiacciare o ridurre a un succo dal sapore conosciuto.
Ciò che non ricordavo – perché non ancora sperimentato dai due attori e autori – è l’abilità nel costruire scene di gruppo, parti di concerto, momenti in cui una compagnia deve coordinare sul palco movimenti e battute. È questa la prima impressione che metto a fuoco dopo aver visto il loro ultimo spettacolo, Le strategie fatali, prodotto dallo Stabile delle Marche e al debutto in Toscana.
Il palcoscenico dalle pareti di pietra del Florida di Firenze si presta più che bene a rappresentare la sala abbandonata in cui nel prologo a luci spente un ispettore dal look demodé, accompagnato da un assistente oligofrenico, deve indagare sulla scomparsa di un adolescente. Non rivedremo i due fino alla fine; subito dopo incontriamo invece il ragazzino che cercano: è il timido assistente di scena che predispone suoni, luci e arredi sul palco dove una compagnia si appresta a provare l’Otello. Cinque attori, diretti – o forse depistati – da uno stralunato regista, interpretato da Musella. Tra di essi il tenebroso Federico, cui spetta la parte di Iago, sembra essere l’unico ad aver riflettuto veramente sul senso della tragedia shakespeariana, e sarà lui a volgere in tragedia il lavoro della compagnia, ovvero a porre Alberto – il “divo” del gruppo – di fronte allo specchio che gli restituisce il volto di Otello roso dalla gelosia.
Più che banalmente metateatrale, la vicenda tende a rendere solido (e visibile, e sostanzioso) ciò che esiste nella nuvola delle parole del Bardo. E ciò avviene, paradossalmente, nell’universo finzionale della scena, universo nel quale coesistono «piani paralleli, che però a volte si toccano, si sovrappongono». Ho appena citato una delle sconclusionate uscite del regista, che mentre racconta i propri sogni prevede o prefigura la sottotrama a cui il pubblico assisterà di lì a poco (e che decido di non svelare).
Tecnicamente ineccepibili (così come il resto del cast, in cui primeggiano, per minutaggio ma anche per maturità, Marco Foschi e Fabio Monti), Musella e Mazzarelli recuperano il titolo dello spettacolo – oltre che una serie di citazioni, perlopiù implicite – da un libro di Jean Baudrillard: vertiginosa immersione nella logica stravolta del reale e delle sue trasfigurazioni, Les strategies fatales (1983) è fonte di ispirazione tra le più elevate che si possano immaginare.
E per chi, come il sottoscritto, crede che il teatro possa e debba essere letto oltre che guardato, va segnalata la pubblicazione del testo drammaturgico, edito da Cue Press, casa editrice interamente dedicata alle arti dello spettacolo.