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Il mondo è un cane rabbioso per Daniele Turconi

Sguardazzo/recensione di "Mondo cane"

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Cosa: Mondo cane
Chi: Daniele Turconi
Dove: Prato, Officina Giovani – Cantieri Culturali Ex Macelli
Quando: 23/03/2016
Per quanto: 50 minuti

Uno spettacolo teatrale non dev’esser necessariamente bello. Non questo è lo scopo del gioco o, almeno, non questo l’unico fine cui mirare, l’obiettivo da raggiungere. Anzi. Molte grandi opere d’arte, non da ieri né da oggi, dribblano il bello come fine, preferendogli altri esiti; nella migliore delle ipotesi, a teatro ma non solo, è auspicabile il manifestarsi del necessario, dell’urgente.

Ecco, se Mondo cane, arrabbiatissimo assolo di Daniele Turconi, ha un’inoppugnabile qualità è proprio quella dell’urgenza e, su tal base, si guadagna a priori la piena cittadinanza nella piazza teatrale italiana; anzi, è forse proprio a causa di quell’urgenza, di quel promanare da un nucleo di dolore disagiato, sghembo e abrasivo, che s’approssima a mosca bianca del nostro panorama scenico, fin troppo caratterizzato da allestimenti “senza fatti o soluzioni“, routinari o, ben peggio, tra il paraculo e il furbetto. Lo vedemmo a Lari, la scorsa estate (qui la recensione di Carlo Titomanlio),  e come può accadere per le cose che colpiscono senza lasciarsi del tutto afferrare siamo tornati a vederlo, a mesi di distanza.

Daniele Turconi 02 (fornite dall'artista)Non ci eravamo sbagliati: lo spettacolo è pressoché il medesimo, dominato dal percussivo e guappesco hip hop mandato a palla, dal rosa shocking ultratamarro ripreso dai neon orizzontali e dal costume dello squinternato protagonista, ennesima riproposizione del giovane inetto contemporaneo. Storia normale, normalissima di banale precarietà, ma non qui è il punto: non sull’esame di stato evocato dall’incipit, le voci off dei professori a confrontarsi con l’incespichìo del Turconi studente à propos del Fascismo (“e finalmente Vittorio Emanuele III affidò il governo a Mussolini“, sapida perla di politica scorrettezza) , non nella ridda di balle che il giovane rifila a madre e futura ex fidanzata nella disperata ricerca di tener in piedi un castello di carte. Il punto sta altrove, quell’altrove che il teatro ha, o dovrebbe avere, sempre presente, come centro focale del proprio essere: l’invivibilità della vita, la sua ineluttabile, inevitabile impossibilità. Si rida o si pianga, si goda o si soffra, il teatro non può che alludere, direttamente o meno, a quell’altrove indicibile, sua sorgente intima, profonda, irresolubile.

Daniele Turconi 03 (fornite dall'artista)Mondo cane punta lì, nella sua ostentata e barbara incompiutezza, nella violenza pure ingenua della sua forma che contesta la forma stessa, con quel falso finale messo lì, a mezza recita, con l’attore che infrange la quarta parete (c’è forse un che del miglior Roberto Abbiati, per quanto differente sia il contesto) come se si fosse trattato d’un ordinario spettacolino su precariato a amorazzi coetanei. Niente di più ingannevole, per quanto vero: e il fulcro sta lì, piantato nel cuore d’una drammaturgia finalmente davvero arrabbiata (qualcuno potrebbe prendere esempio), una forma non pettinata, che abdica a sé stessa, che punta dritto per dritto all’emozione. Che arriva, perché quando Turconi finge di sospendere, ci crediamo. E quando sta per spaccare tutto, ci crediamo. E quando prende a calci la sedia pieghevole, ci crediamo. E sentiamo.

La bella recitazione, la drammaturgia compiuta, il tirar su palette come a una mostra canina giudicando sulla base di criteri “opportuni” lo lasciamo ad altri. Noi stiamo con chi rischia, chi non ci fa, ma c’è. E Turconi (qui le risposte al nostro questionazzo), che applaudiamo di nuovo convintamente assieme allo sparuto pubblico (troppi colleghi attori, mannaggia) dell’Officina Giovani pratese, c’è eccome. Sino al collo.

Daniele Turconi 01 (fornite dall'artista)

 

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un oggetto sarebbe... un taser

Locandina dello spettacolo



Titolo: Mondo cane

di e con Daniele Turconi
Frigoproduzioni


Più che un monologo un non dialogo con la madre e con la ex fidanzata,dove il protagonista,usando come arma la menzogna,intraprende una lotta passiva contro gli altri e ciò che lo circonda,lasciandosi scorrere addosso una vita imprendibile,indomabile e a volte crudele. La menzogna,appunto, e il mio rapporto con essa sono il tema centrale del lavoro. L’urgenza che mi ha portato a cominciare questo progetto è la mia condizione di venticinquenne condannato a morte ogni giorno dai telegiornali,con i sondaggi sull’andamento del paese,sulla pensione che non vedrò mai,sul lavoro che non avrò mai,sulla vita che non avrò mai. Bombardato ogni giorno dalle previsioni di un futuro infernale,ho voluto lavorare sull’unica cosa che ci può salvare quando stiamo precipitando a caduta libera in un mare di problemi non nostri,la speranza di una seconda possibilità. Il protagonista ha appena finito il suo esame di maturità ed è deciso a fare l’avvocato,figura lavorativa in cui vede una possibilità di cambiamento e riscatto. Quelli con madre, Ragazza e pubblico sono dei non dialoghi, perché invece che cercare una comunicazione il protagonista usa le parole per costruirsi dei muri che lo separano dalla realtà. Egli costruisce mattone dopo mattone un instabile castello fatto di piccole bugie,che alla fine gli crollerà addosso inesorabilmente. Tagli temporali netti lo fanno scorrere di colpo avanti di mesi e a volte anni evidenziando in modo grave la sua progressiva sconfitta,prima come studente,poi come lavoratore e poi in quanto uomo. Così tira avanti,tra una bugia e l’altra, tra uno stage e l’altro…apparentemente in movimento ma in realtà fermo ad aspettare la disfatta. Solo il ritorno improvviso della sua ex fidanzata sembra smuoverlo definitivamente da questa passività e immobilità a cui si è autocondannato,peccato che la ragazza in questione,lo stia cercando nella città sbagliata,facendo crollare anche l’ultima speranza del protagonista che però si accorgerà alla fine di essere di nuovo all’inizio. La mia condizione personale influisce in maniera tremenda nel lavoro,io come il mio protagonista,sono bloccato,inerme…mi faccio schiacciare da tutto per poi esplodere nel momento meno opportuno. Mi attacco a un filo del telefono,metafora di rapporti gelidi,disumani,telematici,distanti. Mi lascio strozzare dalla comunicazione fredda che non comunica nulla e faccio finta che tutto vada bene,che non sia tutta colpa mia,mi diverto e mi crogiolo nella mia condizione di condannato non facendo mai veramente quello che serve per scrollarmi di dosso tutto il fango che ogni giorno,la politica,la famiglia,i mass media,il vicino di casa e il datore di lavoro mi buttano addosso per farmi stare a posto,cioè governabile,rabbioso e mansueto nello stesso tempo,come un cane. Fondamentalmente perché forse trovo conforto nel soffrire.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.