Sette, anzi nove domande a

Francesco Niccolini

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Io, che sono Arlecchino, chiacchiero con tutti, forse troppo, forse troppo poco, non sta a me dirlo. L’importante è che, in qualche modo e misura, gli interlocutori che via via incontro mi vadano a genio. Francesco Niccolini, per esempio, mi ci va: autore di lungo corso, più volte l’ho incrociato sulle strade percorse a zonzo nei teatri d’ogni tipo. Del sodalizio con Marco Paolini, colui che tenne a battesimo la rivista che state consultando, in occasione di spettacoli iscritti ormai nella storia recente del teatro italiano (da Vajont ai racconti di Teatro civico, passando per Il MilioneStorie di plasticaITIS Galileo e altri ancora), a Il processo di Franz Kafka (recensito, in era pre-arlecchina sia da Vazzaz sia da Titomanlio), da Corrispondenze e Per obbedienza visti e recensiti (qui e qui) nell’ultima edizione di I Teatri del Sacro sino ai recentissimi Blocco 3 e I duellanti di cui forniamo sguardazzi freschi freschi (rispettivamente: Titomanlio, Salvadori e Tomei, già pubblicato).
Fornire un elenco esaustivo delle collaborazioni del drammaturgo e regista (o, come si autodefinisce: scrivano) aretino equivarrebbe a compilare un autentico atlante del teatro contemporaneo italiano: Roberto Abbiati, Banda Osiris, Alessandro Benvenuti, Anna Bonaiuto, Alessio Boni, Antonio Catalano, Giuseppe Cederna, Roberto Citran, Laura Curino, Luigi D’Elia, Angela Finocchiaro, Arnoldo Foà, Sandro Lombardi, Daria Paoletta, Fabrizio Saccomanno, Massimo Schuster. La lista potrebbe proseguire, ma è meglio ascoltare, anzi, leggere direttamente le sue parole.

Innanzitutto, sette, anzi, nove domande. 

Perché gli spettacoli iniziano alle nove di sera?
Non l’ho mai capito. Io li farei iniziare alle 8, anche alle 7 e mezza, così poi si va a cena a un’ora decente e non devi vagare in cerca di una pizzeria aperta a mezzanotte… se poi stai in tournée con Paolini, all’ora che finisci non ti resta che la pizza in auto nel cartone, se va bene.

Cosa non dovrebbe essere ammesso in teatro?
Francesco Niccolini (sito personalefoto di Andrea Chesi) 02I telefoni, gli spettatori che pensano di usare WhatsApp senza che nessuno se ne accorga, i neonati, i genitori dei neonati che non capiscono perché gli attori sclerano se il loro bimbo strilla, i fotografi mandati dal giornale o dall’organizzazione che scattano a raffica nei primi dieci minuti muovendosi impunemente a tre metri dal palcoscenico, i fotografi dilettanti coi flash, quelli che vogliono scartare caramelle nella plastica, le signore coi tacchi che a metà spettacolo devono andare a fare pipì ancheggiando e facendo sentire a tutto il teatro il loro passo sinuoso, e quelli che russano.

Che opinione hai del pubblico teatrale?
Infinite opinioni, non una sola: ogni città, ogni teatro ha un pubblico diverso. Impossibile semplificare e uniformare il giudizio.

Meglio una platea straripante abbonati o una cantina di pochi appassionati?
Una platea straripante appassionati.

È possibile fare teatro senza fare spettacolo?
Come no. Conosco un bel numero di compagnie che fa teatro a botte di borderò fasulli. E normalmente sono compagnie che prendono anche un bel po’ di sovvenzioni pubbliche: evidentemente si può.

Che senso ha, per te, la critica teatrale?
Vale la stessa risposta data per la terza domanda: non posso generalizzare. Conosco critici teatrali diversissimi e fatico a considerarli una categoria unica senza cadere in facili generalizzazioni. Certo, sarei più felice se nessun rappresentante della categoria avesse problemi di conflitto di interesse, che talvolta fanno dubitare sull’onestà assoluta di alcuni giudizi. Ma quante categorie in Italia hanno lo stesso problema? Da questo punto di vista sono felice di non dirigere più festival né teatri, così – almeno io – quel problema l’ho risolto alla radice.

Che spettatore sei? Cosa dovrebbe “fare” un’opera?
Mia moglie dice che sono pessimo, sia come spettatore sia come pedone: mi muovo sempre, cambio posizione, sbuffo, attraverso dove non ci sono le strisce… a mia discolpa dico che spengo sempre il telefono, non parlo, non mangio e non biascico. Per la seconda parte della risposta, è come sopra, non ho una risposta unica: sorpresa, ritmo, drammaturgia, emozione, pulizia, rigore, disegno scenico; sono tante le cose che mi possono affascinare, ma non posso racchiudere la magia in una formula assoluta e valida per tutto. Di sicuro non mi interessano gli spettacoli nati per mostrare quanto è bravo il primo attore: che fastidio...

Un lavoro a cui hai assistito e che rivedresti anche stasera.
Arlecchino servitore di due padroni con la regia di Giorgio Strehler, ultima versione (ma con Ferruccio Soleri giovane). Amleto con la regia di Bergman. Villa Villa del Teatro de la Guarda.

Il tuo lavoro che vorresti far vedere a tutti. E quello che avresti voluto evitare.
Da evitare ne ho almeno una ventina… non faccio nomi per non coinvolgere attori e registi di quei fallimenti. All’opposto sarei felice di rivedere Mangiadisk, Paladini di Francia, La Grande Foresta, Papalagi, Itis Galileo e anche Corrispondenze. Quando ho compiuto 50 anni – colto da una crisi di megalomania – volevo fare un festival in 7 giorni con 7 miei spettacoli al giorno… poi mi sono detto che era molto meglio andare in vacanza.

E adesso… tre risposte a cui formulare la domanda: 

Non è una questione di pura e semplice contrapposizione, quanto, piuttosto, di individuare un’armonia funzionale al contesto dato.
Cosa succede quando un fotone colpisce l’occhio di un passero durante la sua migrazione? E se invece di un fotone, a colpirlo fossero De Fusco o Lavia?

In effetti, la figura di Arlecchino, così densa di sfumature e implicazioni sia teatrali sia antropologiche, esprime alla perfezione la dualità del gesto di guardare ed essere osservati, il rapporto profondo e, talvolta, vischioso, tra lo stare in scena e il gettare lo sguardo a ciò che sta oltre.
Perché san Carlo Borromeo odiava gli attori? È vero che l’odio più sfrenato lo aveva per Arlecchino?

Grazie per la domanda. Un nome secco? Emma Dante.
A noi il teatro piace quando è fatto con dolcezza. Sarcasmo, indipendenza e dolcezza. Non ci riesce di prenderci troppo sul serio, e forse per questo non amiamo troppo i registi carnefici. Tra i viventi chi ti viene in mente a botta calda?

Francesco Niccolini (sito personale foto di Massimiliano Meca) 01

l'Arlecchino
È un semplicione balordo, un servitore furfante, sempre allegro. Ma guarda che cosa si nasconde dietro la maschera! Un mago potente, un incantatore, uno stregone. Di più: egli è il rappresentante delle forze infernali.

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