Il terzo appuntamento con la rassegna Last but not least a cura di SPAM! ci presenta due spettacoli di teatro-danza: Album, studio del 2015 che ha debuttato quest’anno a Firenze, di Stefano Questorio e, a seguire, Prometeo: il dono, secondo quadro di un lavoro più ampio (Prometeo, appunto) nato da un progetto di Simona Bertozzi e Marcello Briguglio.
L’idea da cui nasce Album è semplice e chiara fin dal titolo: coreografare un intero disco «come se fosse musica per un balletto». Questorio, a malapena visibile sulla scena semibuia, rischiarata unicamente da una luce rossa, fa partire un giradischi. La musica si diffonde nello spazio come viva materia: il primo album dei Suicide, duo punk anni ’70, vibra nell’aria un suono graffiato e graffiante, dando inizio allo spettacolo.
Le luci fredde e livide dei tre neon presenti sul palco avvolgono in un abbraccio spettrale la figura umana vestita in nero, il volto nascosto in un casco scuro, sdraiata accanto a uno di essi. La puntina del giradischi, implacabile, nutre i movimenti spasmodici e caotici dell’uomo ormai svuotato della sua essenza e reso solo corpo, veicolo e marionetta della voce dissonante e straziata dai riverberi di Vega.
Lato A e B, sette tracce agghiaccianti, ognuna delle quali costituisce uno snodo del percorso in cui si articola la performance e in cui si può intravedere un intento metamorfico. Questorio, rigoroso e ammirevole interprete, inizia la sua danza macabra sdraiato, scosso dai tremiti; progressivamente si erge in un ambiente che pare vischioso, seguendo il ritmo meccanico e spietato impostogli dalla musica, fino a spogliarsi ora dei vestiti ora della sua stessa “muta”, strappandosi via affannosamente sfoglie di pelle. Sulle note alienanti di Frankie Teardrop, penultima traccia e atroce storia di un suicidio, si concentra il nucleo dell’intero spettacolo. Il corpo alto e magro, illuminato a ritmata intermittenza dal neon che lo sovrasta, si muove veloce, creando con le braccia l’illusione di un battito d’ali, tende muscoli e legamenti al suono delle glaciali e infernali urla d’accusa verso una società che annienta e consuma l’individuo. La danza si conclude dietro un telo, con un gioco di ombre elettronico e sussurrato.
In contrasto, Prometeo: il dono affonda le sue radici nella mitologia greca, nel racconto del titano che donò il fuoco divino agli uomini, rendendoli padroni della tecnica.
Sulle musiche di Francesco Giomi, Stefania Tansini e Simona Bertozzi intessono una danza complementare, in cui l’una segue e rispecchia i movimenti dell’altra, le traiettorie ora si intersecano ora divergono in completa armonia, occupando tutto lo spazio scenico. I movimenti, espressione di una smaniosa riflessione e indagine sul significato del dono, si perdono nei dettagli, e, soprattutto, nelle pause: i corpi delle due donne, sempre proiettati verso il prossimo passo della ricerca, danno vita a pose decentrate, vorticose, sul limite di un precipizio. Il dialogo che si crea tra le due figure danzanti è fatto di azione e reazione, continuità e mutevolezza, in un linguaggio che si arresta bruscamente quando, nel silenzio, entra in scena Aristide Rontini.
La sua forte presenza scenica inizialmente crea un distacco, un reciproco scrutarsi ma, dopo un cambio d’abiti in scena, entra anch’esso a far parte del dialogo e della nuova comunità. La forza motrice dei tre interpreti si accumula in una serie di movimenti precisi e progressivamente sempre più veloci e frenetici. Conclude lo spettacolo un gesto dal sapore solenne e sacrificale: un cesto di primizie viene passato sul tagliere e sminuzzato con frenetici colpi di coltello.