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Anche l’amore è una questione di spazio

Sguardazzo/recensione di "We Love Arabs"

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Cosa: We Love Arabs
Chi: Hillel Kogan, Adi Boutrous
Dove: Firenze, Teatro di Rifredi
Quando: 18/01/2017
Per quanto: 60 minuti

Qualcosa abbiamo imparato, nella nostra cauta e sempre più consueta frequentazione della danza contemporanea, ossia che si tratta davvero d’una forma espressiva aperta alle soluzioni più impensabili, senza limiti quanto ad argomenti, possibilità, tonalità. Dal coreocabaret di Castello (senza tacer di Cosentinodell’ultimo Alfa) alla ricerca tra sacro e personale di Virgilio Sieni (ma potremmo citare i bravissimi Chenevier, Russolillo, BassiNari, giungendo sino a “mostri sacri” come Abbondanza-Bertoni), il ventaglio è amplissimo e le sorprese sono, ci rendiamo conto di quanto questa possa sembrare una contraddizione, all’ordine del giorno.

Al di là del gran parlare, delle recensioni internazionali, delle presentazioni di sorta (l’aspetto promozionale ha soppiantato la critica, lo sappiamo bene, e non sempre è colpa della “nostra” categoria: il punto è che le persone capaci si son date ad altro), una bella sorpresa è, senza dubbio, We Love Arabs di Hillel Kogan, danzatore israeliano con una solida esperienza alle spalle, in patria e non solo, da New York alla Svizzera al Portogallo, senza contar le tournée. Si tratta d’un piccolo gioiello di grazia, umorismo, pensiero: il tutto, precipitato nella tessitura d’una performance coreutica convincente per saldezza e coerenza.

Kogan entra e si rivolge al pubblico dall’antro nero del palco del Teatro di Rifredi (il fatto che molti spettacoli consimili rinuncino ad arredi e scenografie ci pare un punto di forza, non un limite): alle sue spalle, i sopratitoli rilanciano una sbiadita traduzione del parlato, ma il suo inglese, piano e ben scandito, si lascia intender da tutta la sala. Dice di corpi nello spazio, e quanto lo spazio informi i corpi, come l’organizzazione degli habitat costituisca una definizione profonda per gli elementi che finiscono per popolarli. Cesella il discorso con umorismo e presto s’addensano significati politici: il riferimento alle determinazioni spaziali che organizzano il Medio Oriente si fa palese, come le contraddizioni di una terra divisa, incapace ad accogliere due (o più) popoli.

Cerca un danzatore arabo, Kogan, e strappa sorrisi presto tramutati in risate: parrebbe uno stand up comedian, tanto il pubblico è sintonizzato sul suo humour gentile, furbesco, ammiccante. Teatro nel teatro o, meglio, danza nella danza: l’artista recita la parte d’un coreografo che cerca un danzatore arabo, sfruttando un ben congegnato gioco di scatole e rimandi. D’improvviso, il soggetto del desiderio compare: ha le fattezze di Adi Boutrous, ed è veramente un danzatore arabo. Si forma un tandem: dopo un divertente cicaleggìo, complice una tazza di hummus (tipica salsa mediorientale a base di ceci), una serie di giochi con simboli e luoghi comuni (la stella di David tratteggiata sulla maglietta, le scritte sulla pelle), i corpi dei due si librano in una serie di sequenze plastiche, suadenti, avvolte dal fumo che invade lo spazio ora azzurro per l’impiego delle luci.

Sembra la fine, non è così: la novella strana coppia esce dallo spazio dell’illusione per scendere in platea, il vero palcoscenico. In mano, l’hummus, che con le dita offrono agli spettatori nelle prime file.
È vero: lo spazio determina tutto. Mettiamolo in questione, se vogliamo cambiare il mondo, e anzitutto noi stessi.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... un fiore sarebbe... un myosotis, del tipo "nontiscordardimé"

Locandina dello spettacolo



Titolo: We Love Arabs

Compagnia Hillel Kogan (Israele)
testo e coreografia Hillel Kogan
danzatori Adi Boutrous e Hillel Kogan
musica Kazem Alsaher e W.A.Mozart
consulenti artistici Inbal Yaacobi e Rotem Tashach
distribuzione DdD – Paris


Coadiuvato dal danzatore arabo Adi Boutrous, Hillel Kogan mette in scena una performance dove la danza dialoga continuamente con frammenti di testo (in inglese con sopratitoli) che conducono lo spettatore, con grazia e umorismo, nel cuore della danza stessa. We love arabs è una docu-menzogna sulla creazione di uno spettacolo "impossibile": un gioiello di autoderisione che demolisce uno a uno tutti gli stereotipi relativi al rapporto e alla difficile convivenza fra cittadini israeliani ebrei e cittadini israeliani arabi Per portare un messaggio di fratellanza e di pace, un coreografo ebreo israeliano (lo stesso Hillel Kogan) vuole costruire un lavoro sulla coesistenza fra israeliani arabi e israeliani ebrei: lo vuole fare perché dice “ci sono parti dello spazio che non mi appartengono, che mi rifiutano, nelle quali il mio corpo non si sente a proprio agio, e ho capito che questo spazio che mi resiste è lo spazio occupato da un arabo”. Questo sostiene il personaggio-coreografo rivolgendosi al pubblico. Ed ecco apparire il ballerino arabo Adi Boutrous che, fra il rassegnato e il divertito, cerca di seguire i ragionamenti di Hillel. Perché lui è sì arabo, ma la sua carnagione è chiara, i suoi occhi sono azzurri, è cristiano e non musulmano, non abita in uno sperduto villaggio ma a Tel Aviv e inoltre la sua fidanzata è ebrea. Poco a poco il muro dei pregiudizi crolla, i due danzatori si lasciano andare a una struggente danza liberatoria al termine della quale scendono dal palco, nel territorio della vita quotidiana, uno con alcuni pezzi di pita, l’altro con una ciotola di hummus. Un gesto di condivisione fra un ebreo israeliano e un arabo israeliano: forse è ancora un sogno, si spera non troppo lontano.

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.