Pierre Riviére è un nome che risuona come conosciuto nella memoria di chi si occupa di cultura da un po’ di tempo. È quello del protagonista di uno dei più famosi libri del filosofo francese Michel Foucault. Pubblicato nel 1975, assieme agli allievi di un seminario tenuto al Collège de France, il volume raccoglie i documenti storici relativi al caso di un ventenne che, nel 1836, uccise la madre, la sorella e il fratellino allo scopo di “liberare il padre” dalle angherie della moglie. Parte centrale del libro è la dichiarazione scritta in cui il giovane racconta come e perché si è deciso ad attuare tale massacro: un testo toccante che apre a diverse riflessioni sui meccanismi della psiche umana. Mentre a riflessioni sui rapporti tra potere, istituzioni e individuo rimandano i diversi documenti storici (perizie medico-legali, dichiarazioni dei testimoni, articoli dei quotidiani) e i saggi posti a conclusione del libro. Tutti argomenti non facili da “riportare” sulla scena.
Dopo un’introduzione musicale del nostro Igor Vazzaz, e la lettura registrata del rapporto di polizia che descrive il ritrovamento dei cadaveri, prende vita sulla scena Daniele Bernardi, che dà corpo e voce alla confessione di Pierre, utilizzando anche brevi frammenti di altri testimoni. E così veniamo a sapere dalla “viva voce” del protagonista quali sono stati i pensieri che lo hanno spinto al terribile gesto. Quali i dubbi e i sentimenti che hanno attraversato la sua mente prima, durante e dopo l’omicidio. Dove sia stato e cosa abbia fatto durante il mese precedente alla sua cattura.
L’andamento nella narrazione procede come per capitoli: si comincia sempre con un Pierre che si esprime in stile Forrest Gump per poi acquistare una voce che vorrebbe essere normale, ma che, spesso, va un po’ sopra le righe e diventa altisonante, alla maniera dei teatranti avvezzi a enfatizzare l’espressione dei sentimenti. E, in effetti, con lo scorrere dello spettacolo si evidenzia una “teatralizzazione” del racconto che, a nostro parere, sottrae forza alla vicenda e alle problematiche che esprime.
Bernardi si muove continuamente sul palco e, per ogni “capitolo” della vicenda, realizza una situazione scenica, una postura, un sequenza fisica che dovrebbe aiutare a comprendere, o a sottolineare, le diverse fasi del racconto: come se i fatti non fossero abbastanza interessanti da “tenere” l’attenzione del pubblico. L’effetto è di una sovrabbondanza di segni che, pur dimostrando le capacità professionali dell’artista nell’impiegare diverse soluzioni sceniche utilizzando solo sé stesso, distraggono dal percepire il cuore della vicenda, evidenziandone la “costruzione teatrale”.
Questa impressione di “meccanica teatrale” potrebbe anche dipendere dalle poche repliche finora realizzate, che non hanno permesso di sviluppare uno svolgimento organico delle azioni sceniche: probabilmente, se acquisite e replicate con maggior disinvoltura, queste potrebbero perdere il carattere acerbo che, al momento, ne evidenzia la struttura. L’uso di un radiomicrofono potrebbe aiutare a uscire dalle trappole della declamazione teatrale, che tende a semplificare e appiattire l’espressione degli stati d’animo.
Comunque, stupisce un poco che lo spettacolo non presenti accenni efficaci a suggerire come tale vicenda possa considerarsi emblematica del rapporto “politico” tra individuo e istituzioni (argomento caro a Foucault), per concentrarsi, invece, sulla vicenda umana del protagonista. Come ancora, e sempre, si fa nelle cronache giornalistiche e nei “discorsi della gente”.
Nonostante le nostre perplessità, il pubblico ha accolto la performance con applausi convinti, dopo la bella canzone conclusiva del nostro Igor Vazzaz.