Occasione imperdibile la prima di Pia de’ Tolomei al Teatro Verdi di Pisa: apertura stagionale, ma, soprattutto, debutto del cartellone composto da Stefano Vizioli, neodirettore artistico per le attività musicali nominato a dicembre scorso. La scelta è caduta su uno dei titoli meno frequentati del (vastissimo) repertorio di Gaetano Donizetti.
Soggetto toscano, sia per l’ambientazione sia per il legame con la Commedia dantesca: “Ricorditi di me, che son la Pia; Siena mi fé, disfecemi Maremma” (Purgatorio, V, 133-134). Non è chiarissima l’identità di chi si rivolge al poeta, ma le interpretazioni successive la identificano come la moglie ripudiata da Nello Pannocchieschi e mandata al Castel di Pietra in Maremma a morire di malaria. Forse per infedeltà (supposta o reale), forse per convenienza (un nuovo matrimonio), forse per una reale colpa, giacché Dante la inserisce tra i morti pentitisi in fin di vita: Salvatore Cammarano, responsabile del libretto, abbraccia la teoria di una Pia vittima innocente di incomprensioni e inganni.
La regia affidata a Andrea Cigni sposta la vicenda dal Duecento al Ventennio fascista, con gerarchi e partigiani a sostituire guelfi e ghibellini, rivalità che s’intreccia alla vita di Pia, estranea alle vicende politiche, ma con fratello antifascista e marito fedele al Duce. Ben gestito lo slittamento storico, così come le relazioni tra personaggi, sapendo anche rappresentare l’isolamento che li affligge. Complice la scena austera di Dario Gessati, connotata da un parallelepipedo grigio in cui coro e cantanti sono ora compressi, ora isolati, ora protetti. L’ambientazione fascista si conferma un topos per la regia contemporanea che deve rappresentare la lotta tra chi è al potere e chi lo contrasta: qui abbiamo guelfi e ghibellini, ma più frequente è il caso di Tosca con papalisti e repubblicani. Sembra la soluzione ideale per rappresentare in modo più immediato una rivalità. L’effetto collaterale è l’appiattimento su una visione manichea, in cui buoni e cattivi sono sin troppo chiari e non c’è spazio per riconoscere che gran parte della causa della morte di Pia vada ricercata nelle incomprensioni, più che nella malvagità di marito e cognato.
Ben composto il cast, qualitativamente diviso tra i molti personaggi laterali e i quattro eccellenti protagonisti: spicca la voce della soprano Francesca Tiburzi (cognome autenticamente maremmano), agile e scura allo stesso tempo, molto adatta alla protagonista, pur portandosi dietro echi della Tosca di cui è stata acclamata protagonista a Firenze qualche settimana prima. Valdis Jansons, ottimo basso, è il marito di Pia; il cugino che insinua l’infedeltà è Ghino, portato in scena da Giulio Pelligra, abile nell’interpretazione, non solo vocale, di un personaggio atipico per il ruolo di tenore. Chiude il quartetto il contralto Marina Comparato, che riscuote un grande successo interpretando en travesti il fratello di Pia, Rodrigo. Christopher Franklin è alla testa di un’Orchestra della Toscana in ottima forma: la sua direzione riesce a dare la gravità di cui c’è bisogno, ma senza appesantire i momenti più esuberanti tipicamente donizettiani.
Pubblico numeroso ed entusiasta, coinvolto anche con un’abile gestione della promozione social: alla condivisione dell’allestimento (che ormai da qualche produzione è affidata a Imaginarium Creative Studio) si è aggiunto un viaggio in cinque puntate in cui Vizioli ci accompagna alla scoperta dei luoghi di Pia De’ Tolomei. Un bell’esempio, in un panorama in cui questi tentativi di comunicazione scadono spesso nella superficialità patinata o nel giovanilismo forzato.