Scoperto un anno fa col divertentissimo Quintetto, ritroviamo Marco Chenevier ancora a SPAM!, per un nuovo lavoro che, più ci ripensiamo, più ci convince. Valdostano, diafano, canaglia al punto giusto, l’artista presenta uno spettacolo insidioso, col fare viperino di chi cerca risposte anziché fornirle, senza imboccar gli spettatori dal pulpito simbolico della scena. La puntuta nonchalance si somma al piglio da osservatore sociale, che, di tanto in tanto, si lascia sfuggire il calibratissimo guizzo, il sorriso, la crespatura dell’occhio (ci ritorneremo), mentre sta per far esplodere metaforicamente la sala.
Un ambiente bianchissimo, niveo, accoglie tre figure annunciate da una voce off, meccanica come quella di certi assistenti elettronici: detterà tempi e azioni, di concerto alle musiche e ai rumori controllati dal tecnico (uno dei tre, allampanato, nerovestito, seduto a lato). Ogni spettatore ha prima ricevuto il Welcome Pack: un sacchetto di carta bianca contenente un’arancia, un fazzoletto arancione, un foglio piegato, uno accartocciato, e una caramella Galatine confezionata.
Inizia un gioco a crescere, tra spettacolo, riffa e animazione: ogni scena presenta una situazione che coinvolge i danzatori, istigando un’attiva reazione da parte del pubblico, con eventuale ricompensa in denaro. «Il danzatore, allergico al lattosio, sta per ingerire un bicchiere di latte»: uno spettatore, urlando «Stop!», può impedirglielo (ricevendo in premio 5€), ma l’intervento di altri vanifica la gratificazione economica.
Si progredisce, in articolazione dei numeri e ammontare delle ricompense. Il coinvolgimento è ludico: si ride di gusto per l’avvenente spettatrice seminuda nella piscinetta di plastica (ancora vuota) a scattarsi un’istantanea col performer, imitata poi da uno spettatore dell’altro sesso.
Il tutto è punteggiato da momenti coreutici, non meno caustici, su arie d’opera e musica colta, con riconoscibili brani di Wendy Carlos qua e là, come vedremo nient’affatto casuali.
La danza non è mai fine a sé stessa: il “punto” non sta nella bravura, ma nel discorso, opzione quanto mai appropriata. Il costrutto funziona molto bene: il climax vede gran parte degli spettatori gettare arance contro Chenevier per dissuaderlo dal riversare secchi di (finto) latte sulla danzatrice (Alessia Pinto, bravissima, paziente); gli altri (chi scrive incluso) a spremere altre arance sui di lei occhi (!), contendendosi il montepremi sin lì raccolto. La scena è caotica, crudele, gioiosa, anticipata da quello che, per noi, è il vero colpo di genio, il momento apicale, per quanto quasi impercettibile: all’annuncio delle “regole” dell’ultima sequenza, Chenevier («danzatore allergico al lattosio»), in simulato sovrappensiero e senza la minima enfasi, impugna il bicchiere di latte e beve. Chapeau.
Questo lavoro sull’arancia si rivela come la messa a punto d’un dispositivo aperto, beffarda macchina morale con cui testare gli spettatori: siamo sempre nel ludico, dimensione parodica e un filo paracula, ma il legame col riferimento dichiarato (Arancia meccanica) regge, traendone ulteriore vigore, così come rende possibili altre suggestioni. Pensiamo all’esperimento di Stanford di Philip Zimbardo (1971) o a certa narrativa contemporanea (la serie tv Westworld); in chiave teatrale, ricordiamo pure Gli Omini con L’asta del santo, ma più per la parte giocosa (una partita a Mercante in fiera assieme agli spettatori, con carte dedicate ai santi di cui si riportava la paradossale narrazione agiografica) che per i risvolti da indagine sociale.
E, infatti, Questo lavoro meriterebbe, più che una (meritatissima) recensione positiva, d’abbinarsi a una raccolta dati di tipo behaviorìstico: lanciamo l’idea, senza smettere di applaudire.