Con Un Quaderno per l’inverno, Massimiliano Civica ci pare voler continuare la sua ricerca teatrale stupendoci ancora una volta.
Lo conosciamo dai tempi di Grand Guignol, quando spiazzò tutti facendoci supporre che avremmo visto tanta violenza, movimenti esagitati degli attori, per immergerci nelle vicende da teatro-macelleria dell’orrore, cui eravamo abituati pensando al genere tanto in voga ai primi del Novecento evocato nel titolo: fece esattamente l’opposto, ottenendo uno stupore che non pensavamo di saper provare. Il suo lavoro a togliere, il suo cesello sul corpo e la voce degli attori, fatti recitare apparentemente immobili, scosse per precisione ed efficacia sui nostri sentimenti.
In questa occasione, il regista e autore reatino, ha trasformato la banalissima vicenda di un furto maldestro all’interno della casa di un docente qualsiasi, in un momento catartico che ci ha fatto scorgere un lampo dentro le esistenze dei due protagonisti, ottimamente interpretati da Alberto Astorri e Luca Zacchini. Tutto tramite la forza della poesia ritrovata su un libretto, precedentemente rubato dallo stesso ladro, assieme al computer dell’insegnante. Composizione che il ladro pensava fosse terapeutica nei confronti della moglie morente, mentre il suo medesimo autore non lo credeva affatto, venendo comunque costretto, sotto minaccia di un coltello, a scriverne un’altra. Poesia che, invece, l’impacciato malfattore percepiva necessaria per mutare la propria disastrata situazione famigliare.
Agli spettatori basterà condividere l’aroma aspro delle arance, che a metà della rappresentazione saranno tagliate per farne una spremuta sull’iconico tavolo/zattera a centro scena (sembra contenere tutto quello che ci occorre per navigare in questo mondo ostile), per percepire che una relazione fra i due, apparentemente antitetici, personaggi, e pure con e tra noi, è realmente possibile.
Le nostre relazioni sociali, spesso e volentieri, crollano a terra come il sacchetto delle arance che, all’inizio dell’atto unico tratto da un mirabile scritto di Armando Pirozzi, si srotolano sulle tavole del palcoscenico. Basta saper raccogliere i nostri sentimenti e condividerli per trovare inaspettati risvolti alle nostre esistenze.
Come basterà, anni dopo, che il ladro ritorni a casa del docente, immaginiamo per ripetere un ennesimo furto, mentre invece scopriamo che quel Quaderno per l’inverno, con gli unici scritti poetici autografi del docente, siano invece serviti al figlio del ladro per raccontare una sua positività che nessuno si sarebbe aspettato. A cominciare dal depresso insegnante, incapsulato nella sua solitudine.
Basterà che lui e noi ascoltassimo la primitiva, breve, ma necessaria, poesia scritta dal figlio di questo goffo ladro, densamente investito dalla propria vitalità nonostante la precaria condizione, per farci sentire, per un momento, che la vita, anche se farraginosa come quella dei due protagonisti, può sfociare in altro e uscire dal contingente.
[Si veda pure la recensione di Francesco Tomei sullo stesso spettacolo]