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    Eneide, un racconto mediterraneo, Didone, M.Crippa (2016)

    Titolo: Eneide, un racconto mediterraneo Didone

    Un canto di raffinata poesia che ha dato vita ad innumerevoli e, in molti casi, straordinarie riscritture, basti pensare alla struggente “Didone abbandonata” di Metastasio.
    Didone, regina di Cartagine, si rivolge alla sorella Anna, ammettendo i sentimenti per Enea, che ha riacceso l’antica fiamma d’amore, il solo per cui violerebbe la promessa di fedeltà eterna fatta sulla tomba del marito Sicheo.

    Anna riesce a persuaderla: la sorella è infatti sola e ancora giovane, non ha prole ed ha troppi nemici intorno. Didone allora immola una giovenca al tempio e riconduce Enea nelle mura. È notte.

    Giunone allora propone a Venere di combinare tra i due giovani il matrimonio. Venere, che intuisce il disegno di sviare Enea dall’Italia, accetta, pur facendo presente a Giunone la probabile avversità del Fato.
    L’indomani stesso, Didone ed Enea partono a caccia ma una tempesta li travolge: si rifugiano così in una spelonca, consacrando il rito imeneo.

    La Fama, mostro alato, avverte del connubio Iarba, pretendente respinto di Didone e re dei Getuli, che invoca Giove. Il padre degli dei invia il suo messaggero Mercurio a ricordare a Enea la fama e la gloria che attendono la sua discendenza.

    Enea allora chiama i suoi compagni, arma la flotta e si appresta a partire.

    Ma Didone, già informata dalla Fama, corre infuriata da Enea, biasimandolo di aver cercato di ingannarla e ricordandogli del loro amore e della benevolenza con cui l’aveva accolto, rinfacciandogli poi di non avere neppure coronato il loro sentimento con un figlio.

    Enea, pur riconoscendole i meriti, spiega che non può rimanere, perché è obbligato e continuamente sollecitato dagli dei e dall’ombra del defunto padre Anchise a cercare l’Italia. Ritornato alla flotta, rimane impassibile alla rinnovata richiesta di trattenersi e alle maledizioni di Didone, che è perseguitata dal dolore con continue visioni maligne.

    Così, nella notte, mentre la regina escogita il modo e il momento del suicidio per porre fine a tanti affanni, Enea, avvertito in sonno, fugge immediatamente da quella terra.

    All’aurora, con la vista del porto vuoto, Didone invoca gli dei contro Enea, maledicendolo e augurandogli sventure, persecuzioni e guerra eterna tra i loro popoli.

    Giunta sulla pira funeraria, si trafigge con la spada di Enea, mentre le ancelle e la sorella invocano disperate il suo nome.

    Giunone poi invia Iride a sciogliere la regina dal suo corpo e a recidere il capello biondo della sua vita. Voltandosi indietro dal ponte della sua nave, Enea vede il fumo della pira di Didone e ne comprende chiaramente il significato: tuttavia il richiamo del destino è più forte e la flotta troiana fa vela verso l’Italia.

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