ARCHIVIO SPETTACOLI
Gianni, C. Baglioni (2015)
Titolo: Gianni - ispirato alla voce di Gianni Pampanini
di e con Caroline Baglioni
supervisione alla regia Michelangelo Bellani c.l. Grugher
assistente alla regia Nicol Martini
luci Gianni Staropoli
organizzazione Mariella Nanni
Avevo circa tredici anni. Mio padre tornò a casa e disse che era arrivato il momento di occuparci di Gianni. Era un gigante Gianni. Alto quasi due metri, ma a me sembravano tre e nella mia mente è un film in bianco e nero. Gianni sembra oggi un ricordo lontano, ma era lontano anche quando c’era. Era lo zio con problemi maniaco-depressivi che mi faceva paura. Aveva lo sguardo di chi conosce le cose, ma le ripeteva dentro di sé mica ce le diceva. Fumava e le ripeteva dentro di sé. Gianni non stava mai bene. Se stavamo da me voleva tornare a casa sua. Se stava a casa sua voleva uscire. Se era fuori voleva tornare dentro. Dentro e fuori è stata tutta la sua vita. Dentro casa. Dentro il Cim. Dentro la malattia. Dentro al dolore. Dentro ai pensieri. Dentro al fumo. Dentro la sua macchina. E fuori. Fuori da tutto quello che voleva. Non aveva pace Gianni. Ogni centimetro della sua pelle trasudava speranza di stare bene. Stare bene è stata la sua grande ricerca. Ma chi di noi non vuole stare bene? Nel 2004 in una scatola di vecchi dischi, ho trovato tre cassette. Tre cassette dove Gianni ha inciso la sua voce, gridato i suoi desideri, cantato la sua gioia, detto la sua tristezza. Per dieci anni le ho ascoltate riflettendo su quale strano destino ci aveva uniti. Un anno prima della mia nascita Gianni incideva parole che io, e solo io, avrei ascoltato solo venti anni dopo. E improvvisamente, ogni volta mi torna vicino, grande e grosso, alto tre metri e in bianco e nero.
Motivazione del Premio Scenario per Ustica 2015:
«Colpisce la trasformazione di un materiale biografico intimo e drammatico in un percorso personale di ricerca performativa: la traccia audio originale di un’esistenza spezzata, come il testamento beckettiano di Krapp, ispira una partitura fisica, gestuale, coreografica in un efficace gioco tra due ambiti scenici che si rivelano anche esistenziali. Un lavoro sulla memoria individuale capace di creare uno spazio di comprensione ed empatia che scuote lo spettatore».