ARCHIVIO SPETTACOLI
Ossidiana, F. Favale/Le Supplici (2015)
Titolo: Ossidiana
ideazione e coreografia: Fabrizio Favale
musiche e live electronics: Daniela Cattivelli
danzatori: Daniele Bianco, Vincenzo Cappuccio, Martina Danieli, Andrea Del Bianco,
Fabrizio Favale, Francesco Leone, Stefano Roveda, Davide Valrosso
materiali inediti utilizzati: creep songs di Daniela Cattivelli // 5 danze inedite di Andrea Del Bianco, Fabrizio Favale, Francesco Leone, Stefano Roveda, Davide Valrosso
maschere di sabbia vulcanica recuperata sulle pendici dell’Eyjafjallajökull, Islanda, settembre 2014 di Fabrizio Favale e Alberto Trebbi
azioni di sfregamento di sassi dell’Appennino tosco-emiliano, affumicamento di maschere e vestizione di danzatori di Andrea Del Bianco e Fabrizio Favale
con il supporto di Ater Danza e AtelierSì
e il contributo di: MIBACT e Regione Emilia-Romagna
Questo lavoro prende le mosse dall’osservazione di quei particolari fenomeni che riscontriamo in natura, dove le forme restano, per così dire, incompiute, o danno origine ad altre forme prima d’aver raggiunto quella che ci si aspettava.
Su questo sentiero si muove Ossidiana, un lavoro corale che al suo interno lascia fluire innumerevoli accadimenti, prima che i precedenti siano conclusi. Questo costante sopraggiungere delle cose, in un ambiente spoglio e informale, inaugura di fatto una modalità del fare scenico ibrida, inaspettata e morfologicamente inedita, un nuovo percorso, di cui Ossidiana rappresenta la prima mossa, dove è dato che la struttura del lavoro rimanga aperta all’accadimento che viene dall’esterno e che “qualsiasi” accadimento possa di fatto intervenire.
Questa implicazione, in apparenza ovvia, si sbarazza della temporalità che vede un prima e un dopo, in favore della simultaneità: come se le cose fossero già lì da sempre, a lato dello sguardo che gli si rivolgerà (o che non gli si rivolgerà). E si sbarazza anche dell’autorialità unica, perché l’autore e la competenza in un siffatto sistema è opportuno che non sia uno, ma molti.
Lo spazio scenico potrebbe somigliare allora a un laboratorio, o, se vogliamo, alle pendici d’un esotico vulcano, dove tutti sono impegnati a innescare e disinnescare le cose (oppure a riposare), individuando i cedimenti del tessuto di ciò che avviene sotto i nostri occhi.