Opera misogina o femminista? Drammatica o buffa? Così fan tutte è lavoro ambiguo e complesso, non a caso frutto del binomio Wolfgang Amadeus Mozart–Lorenzo Da Ponte. A una prima lettura, sembra che abbia ragione Don Alfonso, il filosofo pronto a scommettere cento fiorini sull’infedeltà femminile. A veder meglio, il nucleo fondamentale sta nell’imperfezione dell’amore e di chi lo prova. Vero è che le due sorelle, Fiordiligi e Dorabella, cedono − da soprani quali sono − ai corteggiamenti dei principi stranieri (che altri non sono se non i fidanzati l’un dell’altra). La musica e il libretto, però, non lasciano dubbi: amano sinceramente i due morosi ufficiali, con la stessa sincerità con cui si tormentano per i nuovi sentimenti che provano. La profondità introspettiva dell’opera è raggelante, ci rende partecipi dello straziante viaggio interiore delle due ragazze.
Regista capace di rendere la complessità, Lorenzo Mariani sa che «Così fan tutte smitizza il romanticismo per dare spazio alle necessità affettive, emotive e anche sensuali», ed è abile nel palesare i più reconditi conflitti interiori dei complessi personaggi. A questo nuovo allestimento per l’Opera di Firenze, dà solo in superficie un tratto di leggerezza, cogliendo il momento giusto per passare dal buffo al drammatico: dopo il terzetto Soave sia il vento, non è facile star dietro a Mozart nell’alternare toni opposti, dal satirico al cinico, passando per struggente e irato. Oltre alla grande sensibilità, il regista dà sfoggio quasi virtuosistico di abilità, traslando con coerenza la situazione negli anni Cinquanta, in una sorta di villeggiatura aristocratica che ricorda l’ambientazione di Youth – La giovinezza, l’ultimo − deludente − film di Paolo Sorrentino. Palestra, feste, massaggi, piscina. Tradimento, tormento, gelosia, inganno.
La scenografia di Maurizio Balò è unica, in due sensi. In primo luogo, perché pressoché fissa, salvo una grande tenda a righe che isola il proscenio dal resto dello spazio; in seconda istanza, perché misurata sul teatro fiorentino: la buca dell’orchestra è una piscina azzurra, accessibile agli artisti tramite apposite scalette. Il bordovasca conduce direttamente in platea, anch’essa usata spesso per gli ingressi, mentre il resto della scenografia − una parete su cui si aprono altissime e luminose porte-finestre − rimane poco in profondità. Piante, tavoli, sdraio e attrezzi ginnici segnano i cambi di scena, adeguatamente sottolineati dalle luci di Linus Fellbom. Il teatro è unico al mondo per la costosissima torre scenica (270 milioni di euro) che permetterà di avere fino a quattro ambienti diversi pronti e intercambiabili: intorno al suo completamento aleggia, però, il mistero. Il teatro è stato inaugurato nel 2011 senza che il sistema fosse in funzione, e le seguenti rappresentazioni si sono svolte in forma semiscenica. Non si sa se, anche questa volta, il baricentro della rappresentazione risulti tanto addossato alla platea per scelta o per esigenze materiali. Fatto sta che, in questi anni, a Firenze s’è fatta di necessità virtù, trovando soluzioni sempre innovative e musicalmente sensate per ovviare a tale mancanza.
I cantanti: tutti bravi. Non aggiungeremo altro: se li commentiamo uno per uno, poi ognuno (specialmente se tenore) condividerà su Facebook il presente articolo, estrapolandone i passaggi più accattivanti, come se il mondo girasse intorno al proprio ombelico. Non è facilissimo, peraltro, distinguere Ferrando da Guglielmo e, soprattutto, Dorabella da Fiordiligi. Meno difficile è capire quale sia il direttore Roland Böer (in realtà, immerso com’è nella piscina, lo vediamo a malapena) e non si può non elogiarne il rigore e la vivacità, pur contenuta nei momenti adatti. Il coro diretto da Lorenzo Fratini è puntuale, oltre a esibire una notevole prestanza scenica, sul palco e nell’intervento in platea.
La rappresentazione è stata costellata da numerose ovazioni a scena aperta: non tutte giustificate ma, soprattutto nel secondo atto, la platea ci aveva preso gusto e, allora, perché no? Dopo tre ore e mezzo il pubblico (sopravvissuto quasi per intero) si è profuso in un caloroso applauso.