È comico, ma non solo, con la ruvidità genuina di cui solo certi toscani sanno vestirsi senza risultar sgradevoli. Riccardo Goretti è senza dubbio uno tra gli attori più interessanti e versatili della sua generazione: classe 1979, aretino, per anni (dal 2007 al 2012) membro portante del gruppo Gli Omini, interprete e autore di allestimenti realizzati per Nata Teatro (sino al 2013), compagno di scena di Andrea Kaemmerle nei recenti Zona torrida e Naturalmente zoppica un po’ (recensito qualche settimana fa), “re marcio” in Delirium Betlem visto (e recensito, come per l’altro spettacolo, da Igor Vazzaz, che cura la presente intervista) in occasione dei Teatri del Sacro. Sappiamo che è al lavoro con Lucia Calamaro, anche se il suo spettacolo che vorremmo vedere è Essere Emanuele Miriati, personalissima versione − lui stesso lo confessa − del Cioni Mario di Gaspare fu Giulia che Roberto Benigni non desidera, al momento, che sia rappresentato. Per chi volesse saperne di più su di lui, segnaliamo il sito personale riccardogoretti.com, inaugurato di recente.
Innanzi tutto, le domande.
Perché gli spettacoli iniziano alle nove di sera?
Perchè d’avanzo la gente ci va parecchio volentieri, a teatro, te faglieli iniziare anche alle 22 (quando l’abbiocco è già dietro l’angolo) o alle 20 (quando intralcerebbero la sacrosanta cena) e poi vedi che platee piene!
Cosa non dovrebbe essere ammesso in teatro?
La noia. Gli spettacoli che il cast artistico in primis non ha voglia di fare. Le cover (se per esempio ribrutteggi là l’ennesimo Pirandello solo perché quest’anno si porta molto). La noia. I costumi di scena. La corretta dizione. I soli di danza senza musica. La noia. E un sacco d’altre cose. Ma, in ispecie, la noia.
Che opinione hai del pubblico teatrale?
Non esiste “il pubblico teatrale”. Sapremmo rispondere alla stessa domanda con “il pubblico musicale”? No, vero? Diremmo “in che senso? Parliamo del pubblico di un solo per viola da gamba o di un concerto dei Megadeth?”. È vero o no?
Meglio una platea straripante abbonati o una cantina di pochi appassionati?
Col cuore, direi la cantina. Ma se non puntiamo un po’ anche alla platea straripante, ho idea si vada poco lontano.
È possibile fare teatro senza fare spettacolo?
E chi sei, Marzullo?
Che senso ha, per te, la critica teatrale?
Non me lo chiedo. Negli ultimi anni, non sono io che vado a cercarla, e quindi dialogo solo con i pochi interessati che mi “scovano”. Ed è un dialogo che mi piace, visto che a quel punto nessuno dei due poli si aspetta più nulla dall’altro, c’è solo sincerità.
Che spettatore sei? Cosa dovrebbe fare un’opera?
Sono uno spettatore esigentissimo. Un’opera mi deve fare o molto ridere o molto piangere. Altrimenti lascia il tempo che trova.
Un lavoro a cui hai assistito e che rivedresti anche stasera.
Scoppio d’amore e Guerra di Duccio Camerini. E anche il Monni che legge Bukowski, ma più che altro per rivedere Carlino vivo.
Il tuo lavoro che vorresti far vedere a tutti. E quello che avresti voluto evitare.
Annunziata detta Nancy è il mio orgoglio (ma non lo guardate in video su youtube o su vimei vari, ché quello rende veramente solo e soltanto dal vivo!). Sull’altra parte della domanda taccio perché sono coinvolte troppe persone.
E adesso… tre risposte a cui formulare la domanda:
Non è una questione di pura e semplice contrapposizione, quanto, piuttosto, di individuare un’armonia funzionale al contesto dato.
Ma secondo te no, tanfurli pampaloni crema?
In effetti, la figura di Arlecchino, così densa di sfumature e implicazioni sia teatrali sia antropologiche, esprime alla perfezione la dualità del gesto di guardare ed essere osservati, il rapporto profondo e, talvolta, vischioso, tra lo stare in scena e il gettare lo sguardo a ciò che sta oltre.
Non so da cosa vestirmi per Carnevale, hai idee?
Grazie per la domanda. Un nome secco? Emma Dante.
Lo sai a chi lo devi porta’ la prossima volta questo questionario?