Freddi soffi di grecale fanno vibrare le vele telate della tensostruttura del Castello Pasquini (non più di trenta persone al suo interno; così è l’autunno in una località di mare).
Fredda è la scena: tubi al neon fanno luce su una parete di colore neutro (vi si può scrivere col gesso, come su una lavagna, così scopriremo).
In proscenio stanno, in piedi, due persone, un uomo e una donna: sono fratello e sorella, attendono la madre ricoverata in un ospedale, o casa di cura, per riportarla a casa.
Ma a casa di chi? I due si contendono l’onore, nonché l’onere. Divisi da lungo tempo, sanno poco l’uno dell’altra, e poco ci fanno intuire, se non che è lei ad aver accudito la madre negli ultimi anni, privilegio che lui vuole ora sottrarle.
Impadronirsi della sua agonia, per quale motivo? Per godere dei suoi ricordi, per sentirsi migliore, per sentirsi adeguato?
Battute secche, grida smorzate, è un alterco in minore. Un rumore di fondo si mescola agli altri, complica l’ascolto: è un disturbo, un respiro, una pulsazione, un rantolo amplificato, un temporale lontano. Il non detto prevale.
Chi ha il diritto di prestare assistenza alla madre? Chi ne conosce le assurde richieste senili, e sa come assecondarle, o chi pretende di conquistarne la fiducia, e recuperare il tempo perduto? Essere per qualcuno è una forma superiore di essere.
L’attesa si prolunga, lui cerca di introdursi nella stanza della madre, di paracadutarsi nel giardino dov’è stata condotta, di ottenere informazioni dall’infermiere.
Sara Donzelli e Giampaolo Gotti recitano sul crinale tra concretezza e inconsistenza, mortificando scientemente la credibilità dei due personaggi; si impuntano senza rabbia, si agitano con pazienza.
Dissolvenza, la scena muta repentinamente. È passato un anno. La madre è morta e i due sono rimasti soli, costretti a curarsi reciprocamente. La casa della figlia è ancora disposta per soddisfare le esigenze dell’anziana genitrice.
La drammaturgia di Lina Prosa (scrittrice palermitana stimata, pubblicata e messa in scena in Francia, dalla Comédie-Française), fino a quel momento accessibile ancorché metaforica ed ellittica, si fa vieppiù indecifrabile. La rarefazione dei significati inquieta e assorbe. Le ultime scene hanno qualcosa di visionario, adombrano perversioni, travestitismo, incesto, come enigmi mitologici non chiariti. Ciò che resta è una sola certezza: la certezza della fine. Il tramonto incombe, e non deve trovarci soli e smarriti, perché l’unica protezione di cui possono valersi i mammiferi è l’unione.