Non è possibile incominciare questa recensione senza ricordare Luca De Filippo, regista e primattore della compagnia che da anni porta in scena il repertorio di Eduardo con ininterrotti consensi di pubblico e critica. Al posto di De Filippo, scomparso due mesi fa, c’è ora Gianfelice Imparato.
La vitalità del teatro si alimenta anche di questi “passaggi di consegne”; e la vitalità del teatro eduardiano, in particolare, mi pare consista proprio nel suo adattarsi con facilità ai momenti storici e agli interpreti che può incontrare.
Non ti pago! ha una trama semplice e nondimeno sconcertante («una commedia molto comica che secondo me è la più tragica che io abbia mai scritto», ne disse Eduardo): Ferdinando Quagliuolo, titolare di un banco lotto a Napoli, crede ai sogni; e crede che i sogni si possano impugnare come un testamento. Per questo, quando il suo dipendente Mario Bertolini imbrocca una ricca quaterna milionaria giocando i numeri “consegnatigli” nottetempo dal defunto padre di Ferdinando, quest’ultimo si rifiuta di pagare la vincita, sostenendo che il genitore è apparso in sogno alla persona sbagliata.
Quale ragione prevale nell’ostinata, dispettosa, rancorosa opposizione di Ferdinando? L’invidia furibonda che acceca il giocatore perdente di fronte a uno più fortunato? L’indole superstiziosa, tipicamente partenopea, che assimila i propri avi a numi tutelari, al pari di santini privati? Un pretesto per opporsi alle nozze di Bertolini con la figlia?
I tre sentimenti pesano alla stessa maniera, o quantomeno affiorano con eguale spinta dal fluido tragicomico della vicenda. Ma credo vi sia una motivazione ulteriore, una costruzione drammaturgica che considero tra le dominanti della scrittura eduardiana: l’esautorazione (o anche solo l’indebolimento) del ruolo del capofamiglia, colui il quale, di diritto e per dovere, deve tenere le redini, stabilire regole, essere informato di ogni cosa. Sopraffazioni e rivalse, scoppi d’ira e riappacificazioni, gelosie e insicurezze sono spesso generate da una sovranità familiare intaccata, da una linea gerarchica minacciata da un evento casuale, tragico o improvvido.
Nella regia di Luca De Filippo c’è tutto questo; così come nella recitazione della compagnia, perfetta per tempi comici e armonia. Una leggerezza che è il frutto maturo di una consapevole memoria di sé e della propria tradizione. Imparato prende la parte con franchezza, senza mettere nei gesti più di quanto dicano le parole; così fa Massimo De Matteo (Bertolini), che può giocare di rimessa. Tra i comprimari, tutti eccellenti, Giovanni Allocca sfrutta a dovere le esilaranti battute dell’untuoso avvocato Strummillo.
Scenografia leggera e ariosa, dall’impaginazione convenzionale. Di Nicola Piovani, in locandina alla voce “musiche”, sono le insulse marcette che fanno da preludio agli atti.
Dopo due ore di spettacolo applausi sostanziosi da parte dello stagionato pubblico livornese.