È interessante notare come a Lucca alcune delle più interessanti offerte teatrali arrivino da istituzioni che si occupano di altro, spesso a vocazione religiosa. È il caso del festival I Teatri del Sacro, che ogni due anni porta in città più di una ventina di prime nazionali, per di più senza nemmeno far pagare il biglietto. Ed è il caso della Caritas che, nel variegato ciclo di appuntamenti Punto. a capo, organizza una serata con Mariangela Gualtieri, poetessa, drammaturga e fondatrice di Teatro Valdoca con Cesare Ronconi. La cornice è il piccolo Oratorio degli Angeli, caso più unico che raro di chiesa barocca nella città dei campanili.
La figura dell’artista si staglia ai piedi dell’altare, vestita di nero: felpa, gonna a balze, calze. Al fianco è legato un piccolo quaderno, anch’esso nero, che la scrittrice consulta, tra una lettura e l’altra. I suoi occhi chiari si nascondono nell’ombra creata dai riflettori soprastanti. Le gambe, leggermente divaricate, sembrano cercare un legame con il pavimento, che non è solo appoggio, ma scambio di compostezza. Recita le sue poesie con serena gratitudine attraverso una voce vellutata, in una cadenza lenta e ponderata per richiamare l’attenzione «che è la preghiera spontanea dell’anima».
I testi parlano di piccole gioie, di una serenità che si propaga nel mondo, generando la bellezza di cui si nutre. La sua poetica è espressione di una gratitudine frutto di una sorpresa continua nella scoperta di quel bello mondo. Un lunghissimo ringraziamento, nel solco di quelli di tutti gli uomini, di cui il Cantico delle creature di Francesco D’Assisi è solo l’esempio più luminoso. Ci permettiamo di trascrivere liberamente alcuni versi della poesia finale (Bello mondo, appunto) in una selezione arbitraria, che riflette, senza dubbio, più il gusto di chi scrive che l’intenzione della poetessa.
Per l’anima perché, se scende dal suo gradino, la Terra muore.
Per l’antica arte del teatro, quando ancora raduna i vivi e li nutre.
Per la bellezza, tanto antica e tanto nuova.
Per quando la notte si dorme abbracciati.
Per i nostri maestri immensi, per chi nei secoli ha ragionato in noi.
Per tutte quelle biblioteche del mondo, per quello star bene fra altri che leggono.
Per i nostri morti, che fanno della Morte un luogo abitato.
Per la mano destra, la mano sinistra e il loro intimo accordo.
Per chi ha scritto già questa poesia. Per il fatto che questa poesia è inesauribile e cambia a seconda degli uomini, e non arriverà mai al suo ultimo verso.
Non c’è un dio da ringraziare, né la natura o la terra in una visione animistica: c’è solo il ringraziamento in tutta la sua profondità. In Interrogazione alla primavera con pericolosa rima finale è espressa tutta la meraviglia della creazione dei fiori, apparsi cinquanta milioni di anni fa, apparentemente senza motivo alcuno. Non c’è una divinità, ma un «cuore traboccante di mancanza», una «giocondissima mente esplosa al suo centro/ in colorati frammenti di sé/di sé stessa pensante». Gualtieri ci dà un esempio del rapporto profondo con il non conosciuto che non si risolve in una risposta definitiva, nella fede o nell’adorazione. È un regalo, il suo, molto più inclusivo: soddisfa quel bisogno di spiritualità che non è e non deve essere appannaggio esclusivo della religione.