Il secondo spettacolo che Flavio Albanese presenta al Lucca Teatro Festival è Il codice del volo, ispirato alle vicende di Leonardo Da Vinci. L’attore barese, in questo caso come in La vera storia di Pinocchio (visto il giorno precedente), è autore del testo e attore della messinscena. Teatro di narrazione purissima: Albanese è “neutro”, vestito in nero e, nel raccontare, alterna racconto a interpretazione dei personaggi (principalmente Leonardo stesso e il suo devoto assistente Tommaso Masini), un po’ come succedeva anche in Pinocchio.
Nel voler dire del genio toscano, l’artista sceglie un ambito preciso: il sogno di Leonardo di far volare l’uomo. Morto ad Amboise nel 1519, il Maestro lascia al suo allievo Francesco Melzi migliaia e migliaia di pagine di appunti, in gran parte non strutturati. Il discepolo cerca di raccoglierli in libri tematici, visto il periodo fecondo per la trattatistica d’arte. Non sarà più così quando, anni dopo, sarà pronto il Libro di pittura che avrà scarsa circolazione: questo insuccesso e la morte di Melzi porteranno a un dispargimento del corpus di manoscritti del vinciano. Tuttora queste pagine sono raccolte in Codici nelle biblioteche di tutto il mondo.
Il codice del volo è come una di queste raccolte, immaginata da Albanese che, dopo lunghe ricerche, recupera virtualmente gli appunti del maestro sul volo: dagli studi degli uccelli ai progetti per costruire macchine volanti fino agli sfortunati collaudi. In scena accade poco o nulla, tutto è evocato dalla voce dell’attore: le spiegazioni di fisica, il racconto dei tentativi, il tutto in uno stile che alterna narrazione mai asettica e passaggi d’intensa interpretazione. In alcuni momenti, l’attore si concede un abito bianco con un paio d’ali piumate, o un bastone con, attaccato a un filo, un modellino di volatile.
La scenografia si compone soltanto di una grande lavagna − su cui è disegnato il celebre autoritratto leonardesco − e uno sgabello, più funzionale che decorativo. Le atmosfere cangianti suggerite dal monologo sono accentuate dalle luci proiettate sulla scena dominata dal nero: in particolare, una sfera specchiata è poggiata sul proscenio e, irradiata dal faro, disegna un cielo stellato che si propaga sul palco e in sala. In apertura, il protagonista suona un salterio − strumento di forma triangolare, a corde fisse stimolate da un archetto − producendo una musica serena e onirica.
Grazie ad Albanese è come se entrassimo nella mente di Leonardo, alla scoperta del suo metodo basato su associazioni mentali, scoprendoci, per l’incanto di una sera, tutti suoi allievi. Non c’è timore nell’addentrarsi, a volte, anche nello specifico dei ragionamenti (spesso sbagliati, ma sempre stimolanti) di Da Vinci, anche con la gestione di un linguaggio scientifico, o comunque specialistico, che, per approccio e utilizzo, ricorda da vicino un altro spettacolo assai celebre, ITIS Galileo di Marco Paolini. Più che un progetto ambizioso, vediamo in scena un sogno a un passo dalla sua realizzazione.