Anna Marchesini ritorna a “casa”, nel “suo” palcoscenico, a sette anni di distanza dall’ultima apparizione con il riadattamento di Giorni felici di Samuel Beckett. Torna come narratrice di sé stessa, ovvero della narrativa scritta di suo pugno, variopinta, un’accorata e lirica ritrattistica di esistenze minute, apparentemente invisibili perché non lasciano segni tangibili nel corso della grande storia, ma annaspano ardendo dei propri desideri, in quella sommersa, ai margini della società industrializzata del secolo scorso. C’è un prima e un dopo, che segna inevitabilmente una svolta nella sua carriera di attrice comica di successo, anche mediatico e televisivo. La malattia, che l’ha visibilmente colpita nel fisico e nella vocalità ma non nell’animo, segna il giro di boa per una carriera in trasformazione, da attrice a scrittrice per poi tornare al teatro come attautrice, con una nuova linfa vitale, di cui appare pienamente consapevole. Dice di sé: «sono obesa di vita, ne sono così interessata che mi interessa anche la morte».
Scritto appositamente pensando al teatro, Cirino e Marilda non si può fare è l’ultimo episodio di Moscerine (2013), il libro di racconti proveniente dalla penna arguta dell’artista e popolato da figure d’altri tempi, insolite, goffe, come quella del professor Cirino Pascarella, cinquantenne scapolo ingrigito e apatico, ritiratosi in una modesta pensione governata dalla mastodontica Olimpia, una megattera, come la definisce la stessa Marchesini che vorrebbe vedere la figlia racchia e spilungona, la Marilda, accasarsi con l’inavvertito e timido docente. Se madre e figlia ricalcano la verve comica naturale dell’attrice, quella più romanesca e caciarona tipica di tante sue macchiette, la figura di Cirino fa da contraltare rappresentante il nuovo afflato poetico dell’autrice.
L’artista orvietana racconta con un piglio tutto suo il desiderio dell’altrove, il surreale, la nostalgia per una vita solo sfiorata, accarezzata, mai vissuta a pieno dai suoi “moscerini”, la fame querula di vita che contrassegna ogni essere umano, in eterna lotta fra ciò che siamo e ciò che avremmo voluto essere. Nelle sue pagine si ritrovano molti temi dei classici tra narrativa e drammaturgia, filtrati attraverso uno sguardo vispo, da leggere immaginando l’andirivieni della sua voce cantilenante, fiorita nelle sue inconfondibili ascendenze vocali che fanno parte della sua comicità naturale.
A Cirino Pascarella, che ha scritto la propria intera esistenza di un inchiostro sbiadito, è concesso il miracolo. Si riaccende la sua fame di vita grazie a un evento apparentemente insignificante, una luce nella notte alla finestra di fronte, l’epifania in carne e ossa nella figura di un giovane dirimpettaio che popola le sue nottate delle emozioni di una vita mai vissuta. Così inizia il nuovo viaggio del professore raccontato in un palcoscenico spoglio: Marchesini, eroicamente chisciottesca nel suo poetare epico, seduta al centro della scena, cantastorie nell’intimità di una serata passata davanti al focolare dai paesani d’altri tempi, accompagnata dalle musiche del trio jazz Aire de Mar, la chitarra di Martin Diaz, il sax di Marco Collazzoni, le percussioni di Saverio Federici. Avviene un miracolo nel miracolo, una donna, un’attrice, un’artista formidabile, che dialoga con autorevolezza con la sofferenza, la malattia, relegandola al proprio posto. Scevro da sentimentalismi e pietismo, Cirino e Marilda si può fare è un toccante esempio di ciò che, con la forza di volontà, la magia del teatro e l’essere umano possono essere capaci di compiere. Una personale ed esemplare risposta creativa.