Concludere una stagione con lo sguardo proiettato verso il futuro: al Teatro Verdi di Pisa l’opera che sigilla il cartellone lirico, Mefistofele, è anche il nucleo centrale del nuovo ciclo di Una gigantesca follia. Concluso il biennale Don Giovanni Festival, già dall’autunno scorso si è aperta una nuova pagina, tutta dedicata al mito di Faust, dal titolo Demoni e angeli.
L’opera di Arrigo Boito, benché poco frequentata (mancava a Pisa dal 1972, a Lucca addirittura dal 1936) è molto amata dai melomani. Più noto per i libretti verdiani, lo scapigliato si cimenta, qui, nel primo dei suoi due lavori lirici completi (il Nerone, però, sarà rappresentata postumo): la prima messinscena della tragedia faustiana, a Milano nel 1868, fu un fiasco che spinse l’autore a scriverne una seconda versione, rappresentata sette anni più tardi a Bologna, con risultati migliori. Composta di un prologo, quattro atti e un epilogo, ha tratti da kolossal, non solo per la quantità enorme di coristi (centocinquanta, in questa realizzazione pisana), ma anche qualitativamente: si sente la voce di Dio per ben due volte.
Firma la regia Enrico Stinchelli – conduttore di La barcaccia su Radio Tre, apprezzato programma di divulgazione melodrammatica in onda dal 1988 – che sembra voler assecondare questa monumentalità, grazie a un apparato composto di cinque potenti videoproiettori. L’effetto è illusionistico, specialmente durante il prologo, in cui sul palco sembra prendere vita un cielo stellato in perenne movimento, mentre nel buio canta il coro al gran completo. Un momento di grande effetto, che si interrompe dopo pochi minuti, in occasione della recita domenicale, per via di un guasto al proiettore centrale (per il quale si era già registrato il ritardo a inizio spettacolo). Intendiamoci: gli imprevisti possono accadere e non sono quelli a decretare l’insuccesso di un allestimento, al massimo di una singola recita. La scritta WATCHOUT [in alto a sinistra] che appare prepotentemente su tutta la scena in un momento delicatissimo, comunque, suscita un paio di riflessioni.
Intanto, una volta collassato l’impianto tecnico, è risultato evidente che, almeno in quel segmento, la videoproiezione era l’elemento centrale, tanto che quello che resta in scena è solo uno strano buio [foto a destra]. Certo, c’è la musica di Boito (e il Prologo, insieme al Preludio, è un momento di indimenticabile bellezza), ma per una ventina di minuti si è assistito a un concerto al buio. In secondo luogo, se un allestimento punta molto su un sistema così delicato, a questo dovrebbe corrispondere un equivalente investimento produttivo, avendo un tecnico pronto per eventuali imprevisti.
Nonostante la tensione nell’aria, lo spettacolo è poi andato avanti senza intoppi, quasi facendo dimenticare il guasto accidentale. Pur in un cast di altissimo livello, la “palma d’oro” va senza dubbio a Giacomo Prestia, il basso che ricopre il ruolo eponimo: non solo per la voce, che ha già riscosso successi anche in ambito scaligero, ma anche per la prestanza con cui ha saputo tratteggiare un Mefistofele cupo e terrigno, quasi metallaro con il costume caratterizzato dal gilet di pelle.
Pochi gli elementi fisici della scenografia: è onnipresente una grande scalinata bianca, talvolta celata, tavolta integrata dalle proiezioni, che la trasformano ora in castello, ora in parete rocciosa. La parte video, mai così centrale come nel prologo, ha il compito di caratterizzare i numerosi ambienti in cui si svolge la vicenda: sempre d’effetto, in alcuni segmenti diventa “di maniera”, e par di udire una voce esclamare “abbiamo speso tanto, usiamola il più possibile“.
Al netto di alcune perplessità (probabilmente meno evidenti in una recita senza intoppi tecnici), l’allestimento è pregevole, degna chiusura di una stagione coraggiosa e caratterizzata da un pubblico sempre numeroso ed entusiasta.