L’immagine che a mio parere può rappresentare al meglio Laika è quella di Ascanio Celestini, solo in proscenio, con le mani protese, come a sorreggere qualcosa che si trova sopra e davanti a lui. Quando l’attore compie il gesto (fermo immagine ripetuto più volte, come le tiritere pronunciate) sta raccontando dei “negri”, i facchini del magazzino in sciopero, del loro picchetto caricato dalla polizia. La filastrocca, caratteristica dello stile dell’attore romano, si affianca spesso a un gesto, o a una serie di gesti; quando compie l’azione rimasta incastonata nella mia memoria, Celestini pronuncia, variando tonalità e intensità, una frase che lega inscindibilmente alto e basso, paradiso e terra. Il raccontatore ci dice dei “negri” che con una mano tengono ferma la polizia e con l’altra tengono la volta celeste che sta scivolando sempre più giù. Il destino del mondo sembra in mano ai facchini africani, ma anche nelle mani di tutti noi seduti in platea, di noi osservatori e Testimoni.
La maiuscola non è un caso, lo spettacolo di Celestini ha al suo centro la testimonianza, il suo valore di verità. Vedere e testimoniare è, in sé, atto concreto e senza dubbio politico. Un uomo (sorta di Cristo sbronzo di pessima sambuca) racconta agli avventori di un bar quello che c’è fuori: la narrazione è strampalata, surreale, ma per chi lo ascolta è qualcosa di concreto, verosimile. Siamo noi, seduti in platea, gli avventori del bar e abbiamo avuto bisogno di un barbone sbronzo per capire che esistono i facchini del picchetto e le guardie che li caricano, che esiste il barbone, che esiste la vecchia o la donna con la testa “impicciata”. Gli avventori del bar non escono mai dal locale, vivono una realtà virtuale; il narratore è il testimone, che vede e racconta; terminata la storia, torna a casa e trova il suo coinquilino Pietro (il fisarmonicista Gianluca Casadei, ma la voce di questi è quella, registrata, di Alba Rohrwacher) e anche a lui narra quanto visto durante la giornata.
Dalle finestre del suo palazzo, il Testimone assiste alla carica della polizia nei confronti del picchetto in sciopero e del barbone, ma anche all’intervento velleitario della vecchia che cerca di frapporsi e ci rimette una costola e a quelllo della donna con la testa impicciata che si mette tra la polizia e i facchini e inizia a pregare. L’uomo, il narratore, non interviene, ma ha visto. La sera scende in strada e bussa alla porta di un altro personaggio: la prostituta. Nonostante la diffidenza della donna l’uomo riesce a parlarle, sa che anche lei ha visto la scena, anche lei è Testimone. «Signora, noi abbiamo assistito a un prodigio. Un cieco, una vecchia e una donna con la testa impicciata, tre persone nel cuore della notte sono scese in strada per salvare la vita a un barbone». Prodigio e testimonianza aver assistito e voler raccontare, condividere. Essere testimoni ci sbalza fuori dalla nostra indifferenza, ci salva dall’impotenza che avvertiamo di fronte alle ingiustizie. Un gesto ci permette di afferrare e ricordare le parole, il corpo e la voce dell’attore ci spingono fuori dal nostro bar personale.
Chiedo scusa se ci ho messo tre mesi a uscire dal mio palazzo per entrare nel “mio” bar e raccontare a mia volta la storia di un prodigio: quello di un attore, solo in proscenio, che con una mano ferma le guardie in assetto antisommossa e con l’altra tiene su la volta celeste.