ARCHIVIO SPETTACOLI
Cantami Orfeo, Teatro del Lemming (2015)
Titolo: Cantami Orfeo
con Chiara Elisa Rossini e Massimo Munaro
assistenza tecnica Alessio Papa
elementi scenici costruiti da Luigi Troncon
musiche e regia Massimo Munaro
produzione Teatro del Lemming 2015
con Chiara Elisa Rossini e Massimo Munaro
assistenza tecnica Alessio Papa
elementi scenici costruiti da Luigi Troncon
musiche e regia Massimo Munaro
produzione Teatro del Lemming 2015
e se il mondo ti avrà dimenticato
dì alla terra immobile: io scorro,
e all’acqua rapida ripeti: io sono.
R. M. Rilke
Questo lavoro da una parte continua una ricerca, avviata con Musiche del Tempo, sulla capacità del suono di costituirsi come stanza della memoria, dall’altra si pone come primo movimento di un progetto che il Lemming ha intrapreso attorno al mito di Orfeo ed alle Metamorfosi di Ovidio. Dopo una serie di lavori rivolti ad una comunità di spettatori, che non prevedevano più una limitazione al numero di partecipanti, la Compagnia torna così a sperimentare attorno ad una drammaturgia sul mito dedicata al singolo e/o ad un piccolo gruppo di spettatori.
Il lavoro è rivolto, infatti, ad un massimo di venti spettatori a replica, invitati ad adagiarsi su un grande materasso/altare bianco: come a suggerire uno sprofondamento orfico nel regno dell’inconscio e della morte. La musica, proveniente da ogni lato della sala, avvolge la percezione di ogni singolo partecipante. La visione, per una volta, procede invece dal basso verso l’altro, ed è continuamente cangiante come in un infinito riflesso di specchi.
Nei lavori del Lemming, come sempre, non si tratta semplicemente di assistere ad uno spettacolo, quanto piuttosto di esserne completamente immersi e di vivere così una piccola esperienza. C’è qualcosa di profondamente intimo e spiazzante in questo sprofondamento, nella simmetrica fragilità che si realizza fra noi. Rispetto a Musiche del tempo gli spettatori, piuttosto che sprofondare completamente nella suggestione onirica del rito, sono invitati a prenderne parte in qualche modo più consapevolmente. Il racconto di Ovidio si materializza davanti a noi continuamente interpuntato da altri frammenti poetici che ci aprono ad un immaginario più personale e profondo. E’ come se invitassimo lo spettatore a compiere, come Orfeo, una sua personale catabasi, una discesa nel mondo infero che è anche, inevitabilmente, un viaggio nella memoria.
Orfeo vuole ritrovare la sua amata morta: Euridice. E la visione si sdoppia. L’amore perduto di Orfeo diventa così il desiderio che non siamo stati in grado di ascoltare, la donna dimenticata, l’amico scomparso, i sogni che non abbiamo saputo realizzare. Come Orfeo attraverso il mezzo dell’arte, del componimento poetico e musicale, ottiene dagli dèi la grazia che gli consente di intraprendere il viaggio nell’Aldilà, così per noi si apre un viaggio, impossibile, nella terra degli assenti, un viaggio a ritroso nella memoria, nei frammenti di ricordi perduti. Perché, come ricordava Borges, “noi siamo la nostra memoria, siamo questo chimerico museo di forme incostanti, questo mucchio di specchi infranti”.