Terzo e ultimo titolo del trittico di melodrammi incluso nel cartellone del 79° Maggio Musicale Fiorentino: un ventaglio di occasioni rare per sentire (anche per la prima volta) alcune opere poco frequentate dal repertorio. Si chiude con Benjamin Britten e il suo Albert Herring, nell’inconsueta sede del Teatro della Pergola, là dove l’opera fece il suo debutto italiano nel 1968, a 21 anni dalla prima esecuzione assoluta.
Il libretto di Eric Crozier è tratto da un racconto di Guy de Maupassant: a Loxford, immaginaria cittadina inglese, i notabili si ritrovano per assegnare il titolo di Regina di Maggio. Ogni candidatura è vana: l’apparente virtù delle ragazze proposte è scalfita dal pettegolezzo su una passeggiata nel bosco o su una caviglia troppo scoperta. Tra lo sdegno delle autorità («Le ragazze di Loxford sono tutte puttane?»), viene proposto il figlio della fruttivendola, sorta di scemo del villaggio, virtuoso perché imbelle.
In questo nuovo allestimento fiorentino le scene e i costumi di Madaleine Boyd ci portano in un mondo british fatto di caccia al cervo, carta da parati, panciotti e abiti femminili atti a coprire ogni centimetro di vergogna. I personaggi si muovono in perfetto equilibrio tra caricatura e naturalezza, figure credibili e improbabili allo stesso tempo. La regia di Alessandro Talevi si mette al servizio dell’opera ed è tanto efficace quanto trasparente nel farla rivivere nella sua schiettezza. La musica di Britten lascia molti segmenti sinfonici in cui Talevi riesce a definire meglio la sua visione inserendo, per esempio, bianche figure maschili in abiti muliebri, sorta di zombie transessuali che emergono per assediare l’ordine costituito.
Il testo gioca sul ribaltamento: trasferendo su un ragazzo le aspettative che si hanno, di solito, nei confronti del sesso femminile, si mostra quanto siano ridicoli certi parametri di valutazione. La drammaturgia si svolge su due livelli, rigidamente separati almeno per tutto il primo atto: i rappresentanti dell’ordine costituito (una nobile, un poliziotto, il sindaco, il parroco, la direttrice della scuola) e il popolo, persone comuni che iniziano ad avere cittadinanza nel mondo del melodramma: fruttivendoli, garzoni, macellai, commesse. I primi si ritrovano a casa di Lady Billows e discutono delle norme sociali con la stessa naturalezza con cui gli altri personaggi parlano del cibo (ed è difficile non pensare a “Sei polli: sei scellini” del Falstaff verdiano che ha anticipato, anche in questo senso, molto Novecento). Quando l’inclito collegio va a comunicare ad Albert la sua elezione a Re di Maggio, si sposta tutta la camera della lady, con il suo trono e gli animali impagliati. È evidente il distacco tra chi impone le norme sociali e chi è troppo impegnato a vivere per adeguarsi a quel metro di giudizio.
L’Orchestra del Maggio Musicale è in formazione ridotta per un’opera da camera con un’organico abbastanza limitato: hanno grande rilevanza le percussioni, al centro della buca, e i fiati, a scapito dei pochi archi. Le voci, spesso intrecciate in briosi concertati, sono particolarmente interessanti nei registri più gravi, che frequentano spesso (soprattutto nel caso delle voci femminili). Interviene anche il pianoforte a commentare momenti di particolare pathos, suonato dallo stesso Jonathan Webb, bacchetta vivace e precisa in mano a un direttore sempre più votato al repertorio novecentesco, e a Britten in particolare. Il cast, quasi tutto forestiero, è impeccabile sia nel canto che nella vivace interpretazione, dai cantanti più in vista ai tre alunni della scuola. Le performance più esilaranti sono quelle di Orla Boylan (la dispotica Lady Billows) e Gabriella Sborgi (esilarante cameriera bacchettona), ma nel complesso di un allestimento vivace e ai limiti della perfezione.
Pubblico poco numeroso per la prima, ma disposto a scroscianti applausi alla fine di ogni atto.