Un forte legame unisce Nannerl, sorella di Mozart e round midnight, le due performance di Cecilia Bertoni e Carl G. Beukman, ennesima tappa della rassegna Assemblaggi provvisori proposta dall’Associazione Culturale Dello Scompiglio. Il primo lavoro, allestito nel 2014, va in scena al Ninfeo, una porzione di prato rialzata e circondata dal verde, sorta di palcoscenico naturale in cui si muove, da sola, la stessa Cecilia Bertoni. Qualche scalino più in basso, al livello degli spettatori, troviamo Beukman e Antonio Caggiano: il primo al computer, il secondo alle percussioni, lavorano sulle pagine più famose di Mozart, intervenendo uno con l’elettronica, l’altro con una vasta gamma di tamburi, xilofoni e piatti. Il secondo allestimento, round midnight, è invece al debutto: ci troviamo all’interno, nello Spazio Performatico ed Espositivo, e troviamo ben sei performer in un ambiente opposto al precedente: asettico, innaturale, crudo. C’è un legame non celato tra i due lavori, soprattutto a livello semantico, che segnano il passaggio da passato a futuro, da singolo a collettivo, da fuori a dentro. Barelle da ospedale, suono di dadi, fili rossi e, soprattutto, corpi bianchi: sono questi alcuni dei molti stilemi condivisi da entrambe le performance.
Per Nannerl la pelle imbiancata è una sorta di annullamento di sé al cospetto del fratello, presente solo musicalmente: il Requiem, il Rondò alla Turca e alcuni stralci operistici sono ora arricchiti, ora distorti e si fanno presenza incombente, a volte addirittura minacciosa. La componente sonora è certamente la più interessante, soprattutto per il rapporto tra la manipolazione dal vivo e l’imprevedibilità dei suoni della natura circostante. Cecilia Bertoni si spoglia della parrucca bionda e della gonna a ruota per annullare la sua femminilità e stringersi nei panni e nei capelli di Wolfgang: solo così riuscirà a superare il proprio isolamento e scendere la scalinata.
Con round midnight, invece, l’ambientazione è distopica: sembra di essere in una fabbrica di esseri umani, in cui i corpi aspettano di essere standardizzati prima di essere immessi sul mercato. Anche loro, come Nannerl, sono sdraiati su una barella e si annulleranno con la vernice bianca: anonime membra pronte per diventare schermi su cui proiettare i modelli di maschile e femminile definiti dalla moda. Si troveranno a partecipare a un gioco dell’oca in cui, a seconda della casella (azzurra o rosa) su cui andranno a finire, dovranno interpretare atteggiamenti dell’uno o dell’altro sesso. Tutti insieme finiranno a cucire col filo rosso un telo su cui vengono proiettati vecchi filmati amatoriali: la forza della narrazione vince gli stereotipi e questo momento di condivisione scatenerà un’abbondante pioggia. Si lavano, si spogliano e si lanciano in una danza forsennata e liberatoria, non più corpi, ma persone, in una mezzanotte in cui sparisce quell’ordine che li opprimeva.
Un dittico molto intenso, curato nella pulizia dell’immagine e nell’efficacia della parte sonora, ma che tuttavia non si distanzia da un vizio endemico a molta arte contemporanea: parlare a sé stessi. Quello che si vede in scena è sempre rivolto a chi già sa quello che si vuol dire: non c’è apertura di altri mondi, ma la realizzazione a livello estetico di idee che devono essere già condivise o spiegate in precedenza. Il rischio è uno sterile esercizio creativo che, seppur apprezzabile sul momento, difficilmente resterà nella memoria degli spettatori.