E finalmente, dopo averlo mancato in almeno tre occasioni, riesco a vedere a Castiglioncello Stasera sono in vena di Oscar De Summa. A dire il vero anche questa volta ho rischiato di “sbucciarlo” (siamo a Castiglioncello, appunto, un tocco di slang labronico ci può stare), per colpa di una di quelle variazioni al programma dell’ultimo minuto che rendono i festival estivi a-do-ra-bi-li (a proposito, non mi unirò al coretto melenso di chi piange le sventure di Castello Pasquini, tanto i giornaletti come il nostro ne son pieni).
Mentre io mancavo l’appuntamento con lo spettacolo, lo spettacolo accumulava premi e consensi in quantità («imperdibile», «potente», «trascinante», e via dicendo). La cosa mi indispettiva (possibile che solo io non l’abbia visto?, mi dicevo), facendomi dimenticare la prima regola del maturo frequentatore di teatri: mai ascoltare i pareri altrui. Perché i 60 minuti del monologo recitato da De Summa, seduto su una cassa che amplifica il microfono che ha davanti, mi sono sembrati davvero lunghi e indigesti.
Siamo in Puglia, metà anni Ottanta, più o meno, Salento «o quasi». Un gruppetto di giovani perdigiorno, cui si unisce la “straniera” Sandra, trascorre l’estate con l’unico impegno quotidiano di trovare di che drogarsi, hashish, hashish, eroina, eroina.
Lungo le strade assolate della regione, gli incontri con spacciatori, con altri tossici, con piccoli e grandi criminali; tutta una serie di personaggi grotteschi, le cui deformità – fisiche e mentali – possono strappare qualche risata, grazie anche all’uso parsimonioso ed efficace del dialetto (le voci si moltiplicano, interferiscono tra di loro), ma riescono nel complesso assai prevedibili (la componente autobiografica c’è e si avverte, le “licenze” narrative pure). Come prevedibili e scontati sono pure gli snodi della storia: la discesa nell’abisso della dipendenza (colpa del mal di vivere, o della Madre Solitudine, come la chiama il protagonista), la possibilità di redenzione offerta dalla donna-angelo (dove? In un paradisiaco aranceto, ovviamente. Ma l’opportunità non viene colta…), le abiezioni dovute alle crisi d’astinenza, l’irreparabile tragedia di un’overdose.
A far da colonna sonora una playlist di classiconi del rock dell’epoca (e non solo), cantati o abbozzati da De Summa: Doors, Iggy Pop, Bowie, Pink Floyd, fino alla chiusura sulle note struggenti di Hallelujah, di Leonard Cohen (anche questa non certo sorprendente, ricordo almeno altri due spettacoli che vi si appoggiano).
Non si discutono le doti attoriali di De Summa – che ha portato al Festival Inequilibrio un trittico di suoi lavori recenti (oltre a questo, Diario di provincia e La sorella di Gesucristo, anch’essi affondati nelle piaghe esistenziali del profondo Sud) – ma di Stasera sono in vena ricorderò probabilmente solo la poesia dell’ultima luce che sfiora le pietre dell’arena nel giardino di Castello Pasquini.