Dopo la Tempesta. L’opera segreta di Shakespeare. Ultima fatica della Compagnia della Fortezza, seconda e definitiva tappa del percorso iniziato l’anno scorso, con lo studio Shakespeare Know Well, da queste parti recensito e documentato fotograficamente.
Uno spettacolo non di facile lettura, problematico, se si vuol restare legati a una terminologia politicamente corretta. Come nella passata edizione, l’intera rappresentazione è incorniciata dal rettangolo assolato del cortile carcerario destinato all’ora d’aria. La scena si sposta e il suo centro scivola a destra di chi guarda destinando lo spazio restante al dedalo di croci arroccate sulle sbarre.
Armando Punzo di nuovo nelle vesti di poeta/autore/scrittore/bambino torna a tormentarsi inseguito dai suoi libri antropomorfi, creature afone cui viene concesso il privilegio della parola solo mediante il corpo dello stesso regista/attore che dona e toglie la voce nascondendo il viso tra le pieghe della carta.
Tornano le donne e, con esse, si riconferma la suggestione di un Fellini nascosto dietro qualche angolo.
Gli spettatori accampati per terra, circondati dalla sabbia che copre la superficie dell’isola-carcere, assistono alla processione incessante di personaggi che entrano ed escono di scena. Lo scorrere del tempo, filtrato attraverso l’immaginario concesso da gorgiere di carta e maschere di trucco, è quello che, in definitiva, caratterizza l’intera messinscena.
Qualcosa, nonostante tutto, sembra venire a mancare. Non avviene con necessaria forza quel salto che si attende per concludere uno studio portato avanti per due anni. La rappresentazione si arricchisce di suoni, voci e se, nel caso di Shakespeare Know Well, quella di Punzo mista al rumore delle pagine strappate riempiva il silenzio, in questo Dopo la Tempesta acquistano spessore i brani interpretati dai detenuti; non quanto basta, forse, per completare una messa in scena sin troppo ricca di riferimenti, citazioni, ammiccamenti.
È un succedersi di quadri che si rincorrono con regolarità perdendo gradualmente la loro forza originaria, un ritmo capace di risultare accattivante, ma che, nel suo ripetersi, svela alcune fragilità e mancanze: che sia, questa, una sfida troppo imponente da affrontare?
La voce off di Punzo tira le fila dell’allestimento: corpo e spirito si separano, si perdono tra le coperte di broccato nell’eco di argenti caduti a terra, rincorrono l’idea su scale sospese e la fuggono tra armature di cartapesta sino a ritrovarsi terribilmente frammentati e dissolti nell’aria.
Torna a concludere il bambino dai pantaloni a quadri e dalle scarpe con le stringhe: con lui, il simbolo di una purezza istintuale non ancora venuta a patti con la vita.
Dopo la Tempesta. L’opera segreta di Shakespeare si presenta così come una lunga processione di bellissimi costumi che sfilano immersi in una scena esteticamente impeccabile. Ci ritiriamo sul pianto di donna, sulle pagine accartocciate, con la consapevolezza che l’appetito acceso dalla Compagnia della Fortezza a proposito di Shakespeare possa non venire mai del tutto saziato.
[Sullo stesso spettacolo, leggi lo sguardazzo di Giacomo Verde]