Serata doppia, quella del 26 dicembre a SPAM. Uno studio come anteprima regionale e uno spettacolo ancora fresco di produzione. Il primo è Carnet Erotico di Francesca Zaccaria, il secondo Indaco di Fabio Ciccalè. Entrambe le performance sono assoli suddivisi in alcuni quadri, sequenze.
Lo studio di Zaccaria si apre letteralmente con un strappo nel sipario nero: si crea una finestra, come una vetrina, un quadro vivente, che incornicia una figura in una posa ambigua. Che ricorda la pittura di Egon Schiele. E i disegni realizzati dalla stessa performer. Poca luce, una striscia di rosso a colorarne un particolare. Solo una mano si muove. Poi una lenta danza da sgabello per passare da una posa all’altra. Una spropositata lingua rossa appare e scompare prima di ricomporre la posa iniziale mentre l’apparizione di sagome di omini bianchi conclude il primo quadro.
Cala il sipario, svelando uno spazio bianco e una danza che si evolve da gesti trattenuti, su un minuetto che sembra alludere alle musiche da carillon, esprimendo una sensualità intima, archetipica, che sta alla radice delle ormai consumate figure della spettacolarità erotica. Ci si rifà alle pose dello yoga o a certe figure delle arti marziali. Seni enormi vengono poi indossati per il terzo quadro, costringendo il corpo a riconfigurare il proprio equilibrio, il senso e la qualità del movimento. Un piccolo trono, sormontato da uno specchio sul fondo della scena svelato dalla caduta del fondale, è la base per delle pose plastiche che alludendo ad antiche sculture indiane ironizzano su certe laceranti e improbabili esposizioni sessuali.
Venti minuti che lasciano presagire una buona evoluzione in altri quadri, variazioni sul tema. Ma già da queste prime idee si apprezza la felice scrittura coreografica dell’artista e la piacevole maturità della sua danza.
E, certo, la “maturità” è la prima cosa che salta all’occhio assistendo alla performance di Fabio Ciccalè. Non il solito “ballerino”, bensì un uomo che danza. Che continua a danzare anche se il mercato lo vorrebbe ormai over date. Indaco è il terzo atto di un progetto nato dieci anni fa e che ora si avvia a conclusione esponendo il raggiungimento di una maturità che lui stesso definisce “altra”. Nei diversi quadri, indicati da distinti “generi” (barocco, rock & roll, cartoon, canzone…) la percezione dello spettatore viene continuamente messa in gioco. Niente si evolve come ci si aspetterebbe, in un continuo giocare tra aspettativa e tradimento. Per giungere a scoprire che i tradimenti delle aspettative (create dalla scelta delle musiche e da certi accenni coreografici) sono più interessanti, illuminanti e significanti del previsto. Un continuo gioco interpretativo alla ricerca di una gestualità che, ironizzando sul senso della danza, ne mette in campo, riconfigurandoli, gli elementi essenziali. Essenziale è anche la scena. Pochi neon, un faro e una lampadina, accesi e spenti dallo stesso danzatore, a vista, in un rapporto frontale e diretto con il pubblico. Attraverso l’ironia e lo spiazzamento si riscopre così il piacere e la bellezza dell’espressione coreutica, superando con maturità i “soliti” stili, i generi e le possibili acrobazie o potenze giovanilistiche di certa danza moderna.
Ciccalè comunica una sincerità del gesto e del suo danzare che coinvolge lo spettatore in un’attenzione divertita e complice.
Sinceri, meritati e lunghi applausi hanno premiato, incorniciato, la sua performance, così come era stata applaudita quella di Francesca Zaccaria.