È bene mettere i puntini sulle i, per una seppur banale, ma obbligata constatazione: “Caro pubblico, quando vai a teatro sii consapevole di cosa scegli, altrimenti le lamentele postume sono inutili“. Mi sovvengono alcuni paragoni plausibili: chi (anda)va al cinema a vedere i film della coppia Boldi-De Sica uscendone indignato paragonandoli alla Nouvelle Vague; chi va alla “barchetta” lungo il molo di Viareggio per un frittino misto e pretende fish and chips griffato Cracco. Se si è consapevoli delle proprie scelte, si potrebbero evitare frasi infelici all’uscita della sala, giacché ogni volta che i novelli critici s’espongono è un brivido che vola via (cit. Fiorella Mannoia).
L’ennesimo sussulto ci è sopraggiunto all’uscita di Il borghese gentiluomo, protagonista Emilio Solfrizzi, allorquando aitanti giovani mormoravano “Carino, ma è Zelig”. Lo stesso Zygmunt Bauman ci insegna a non essere schizzinosi, che nella nostra epoca dobbiamo dare spazio a tutto, all’arte alta come a quella di massa, si deve essere dunque onnivori. Pertanto, se si va ad assistere a uno spettacolo come quello visto a Carrara, ci si deve aspettare una commedia, un allestimento basato soprattutto sul riso.
Nella fattispecie, s’è trattato di una tipica pièce in cui spicca un noto attore televisivo: tutto è incentrato su di lui, sulle sue caratteristiche peculiari. L’abbassare/alzare le sopracciglia, a mo’ di maschera, per una comicità immediata, contagiosa, in cui si tende a voler portare la risata all’esasperazione, terminando in banalità o addirittura battute che si inerpicano nella vasta area del demenziale. Si sa. È un dato di fatto.
È possibile, invece, criticare il lavoro svolto da Armando Pugliese, regista che stimo profondamente (ricordo un bellissimo Die Panne o un ibseniano Nemico del popolo) e che, in questo caso, si è limitato a una semplice “regia tecnica”. Caratteristica dell’artista napoletano sarebbe, infatti, di colorare i propri allestimenti con spunti critici sulla società, elemento costante per una riflessione profonda e mai banale. Non si comprende, quindi, il motivo di tale “assenza”, specie in un Moliere che si presterebbe molto bene a questo tipo di operazione: un semplice borghese vuole elevare il proprio livello sociale a quello di nobile, ma viene deriso sia dai benestanti sia dai servi. Ricco o povero, la situazione è la medesima: siamo tutti uguali di fronte alle leggi della vita.
La scena racchiude l’interno di un’ampia stanza: sul fondale, si ha una specie di palcoscenico, sopra cui si realizzano situazioni metateatrali; ai lati, un ingresso con una porta e, dall’altra parte, una finestra, tutto dominato dal grigio e dal verde scuro. La recitazione è macchiettistica: i personaggi sono caratterizzati alla stregua di una moderna commedia dell’arte (notevoli le interpretazioni di Cristiano Dessì, Anita Bartolucci e Lisa Galantini). Rispetto all’allestimento della scorsa stagione con protagonista Solfrizzi (per la regia di Valerio Binasco), si scorge un’evidente omogeneità nella direzione degli attori, con il cast che si allinea alle chiavi comiche del protagonista: è come un servire la scena al primo attore. I costumi sono abiti “moderni”, ispirati al primo Novecento, per i personaggi più “svegli”; vestiario seicentesco, invece, per i più “stolti”, come lo stesso borghese.
Si ride e si scherza per starsene un po’ in compagnia: più che Luciano Ligabue, è il sottotesto che ognuno dovrebbe mettersi in testa quando va a vedere questo genere di spettacoli. Altrimenti… tutti fenomeni (cit. Piero Pelù).