La scena si apre, una voce sottolinea con poche parole l’inizio di un viaggio in cui si ripercorre l’evoluzione che ha subito la musica, insieme alla società e alla tecnologia, nello spettacolo La storia del rock: questo è ciò che Flexus (la band protagonista della serata) propone in una lezione/concerto per ragazzi. Lo scopo: presentare la musica rock dai suoi albori sino ad arrivare ai celeberrimi Pink Floyd, tanto per dare un piccolo assaggio dell’intramontabile sound di questo genere musicale.
Da subito l’atmosfera, con luci soffuse e scenografie essenziali, sembra rievocare un nostalgico e sgangherato complessino blues, sottolineando la forte contaminazione tra i due generi. Il gracchiante suono di un grammofono riproduce, infatti, la delicata voce della prima grande cantante blues: Bessie Smith.
Prende corpo, così, la “lezione” dove si alternano brani eseguiti, digressioni socio-politiche (riferimenti alla tradizione afroamericana, al razzismo), con una peculiare attenzione sui cambiamenti subiti dagli strumenti musicali secondo l’evoluzione tecnologica.
Lo spettacolo è semplice: sulla scena si presentano gli “antenati blues” dei moderni strumenti musicali come la washboard, modello artigianale di batteria; il megafono “antenato” del microfono; un contrabbasso primitivo costituito da una cassa, un manico di scopa e un filo. I Flexus attaccano un motivetto accattivante che annienta la precedente malinconia: la pulsazione ritmica aumenta, e con essa l’entusiasmo del pubblico, in favore del “nuovissimo” swing.
L’itinerario prosegue, si passa da Glenn Miller a Bill Haley, sino a incontrare il Re: Elvis Presley, simbolo perfetto della contaminazione di elementi socio-razziali (le due comunità, bianca e nera, all’epoca prevalenti nella società statunitense) e musicali (il blues e lo swing).
Il concetto di evoluzione e di intramontabilità del rock è spiegato in modo chiaro attraverso elementi metaforici. I Flexus si concentrano sull’avvento della chitarra elettrica, che aumenta la “durezza” del suono e diventa simbolo di ribellione antirazzista e di librazione sessuale; il rock‘n’roll non rimane fenomeno esclusivamente bianco e si afferma, infatti, Chuck Berry, cantante nero simbolo di queste contraddizioni e contaminazioni.
Anche all’interno del processo di commercializzazione della musica, simboleggiato dal successo del “singolo” (il vecchio 45 giri), il rock resiste e il piccolo disco di vinile fa entrare lo spettatore nel “gioco” del teatro e delle sue metafore, dove un’immagine evoca un concetto, così da sentirsi trasportati nel viaggio virtuale come se fosse reale.
Il rock, eclettico e adattabile, si fa spazio anche in Europa: Adriano Celentano rappresenta la contaminazione del genere americano riadattato alla lingua italiana, forse troppo dolce per questo tipo di sonorità. Ne nasce una sorta di gergo, a tratti anche incomprensibile, che risponde all’esigenza ritmica e dimostra la versatilità delle contaminazioni.
Lo spettacolo continua, in maniera ciclica, tra riflessioni e musica, tra oggetti che simboleggiano cambiamenti ed emozioni suscitate dalle sonorità del rock: ripetizione monotona o soluzione scenica voluta? Si ripropone la stessa formula, come un riff musicale che ritorna agli orecchi dello spettatore per condurlo in una dimensione storica che sembra non avere né inizio né fine.
Poche, ma sapienti metafore visive e sonore, sono bastate ai Flexus per condurre ragazzi inesperti nel viaggio all’interno della storia di un genere musicale pieno di elementi che volevano e vogliono dimostrare la volontà di emanciparsi, senza dimenticare le proprie origini, e di rinnovarsi per non rimanere schiacciati dai cambiamenti che avvengono intorno.
Marco Carnicelli