Un corrispondente di «Le nouvel observateur» si lamentava proprio domenica scorsa che i teatri italiani fossero ingordi di fatti di cronaca, efferate tragedie familiari o impressionanti drammoni. A torto o a ragione il giornalista s’irritava, notando quanto spesso la più corriva narrazione giornalistica diventi un pretesto o una facile ispirazione per drammaturghi e soggettisti a corto di fantasia. Opere che finiscono con l’essere, proseguiva l’acuto redattore, morbose e corruttrici, giacché, complice lo spirito d’emulazione ch’è parte dell’umana leggerezza, aiutano il riprodursi di quei fatti stessi.
L’argomentazione è ineccepibile, e vorremmo che altri ne prendessero coscienza; nondimeno, dopo aver visto la “prima” nazionale di Le corna, messo in scena nel restaurato Teatro delle Bandierine di Pieve al Toppo dalla giovane compagnia palermitana del Pompelmo, non abbiamo potuto trattenere una spontanea riflessione: ben vengano spettacoli che, come questo, hanno nell’attualità la loro raison d’être. Magari ce ne fossero a dozzine, ogni stagione, di testi che si pongono di fronte alla cronaca con l’atteggiamento di chi intenda trarre dalla nuda realtà gli insegnamenti che si debbono trarre, e al contempo denunciare le responsabilità ove si renda necessario.
Il tema della rappresentazione (o, per entrare subito in medias res, l’affliggente piaga sociale che essa disvela) è l’infedeltà (il titolo lascia ben poco all’intuito, in effetti): non tanto e non solo quella adulterina, che travolge le certezze coniugali e disastra le famiglie; ma l’infedeltà tout court, ovvero l’incapacità di riservare a una singola persona attenzioni, cure, passione amorosa. Lo svolgimento, scritto e diretto con coraggio da Aldo Bresavola, sebbene virando troppo spesso verso lo schema banalizzante del romanzo a puntate (e le variazioni luminose assumono in questo valore troppo esplicitamente didascalico), è il seguente: un gruppetto di donne e uomini, conosciutisi fortuitamente, si ripromette di mettere alla prova l’attaccamento dei rispettivi partner; e per fare ciò ognuno si impegnerà nell’adescare i compagni altrui.
Nell’impegnativa parte dei finti adescatori (impegnativa, diciamo, poiché si tratta, teatralmente parlando, di fingere una finzione) recitano Anna Carena, Ivan Caramazzo e Clarissa Antipa, ancora acerbi ma già capaci di estrosi artifici gestuali. Parimenti, gli adescati riescono a trovare le tonalità giuste per manifestare, senza eccessi didascalici, la loro natura volubile, spietata, sleale.
Per brevità e per non rubare il gusto ai futuri spettatori, non diremo delle odiose situazioni che si generano nell’ultima parte della vicenda; né del modo in cui queste sono prese ad esempio di un’abituale ipocrisia dei sentimenti. Concluderemo invece annotando, tra i pochi difetti della scrittura di Bresavola, l’insorgere della perniciosa sindrome del “finale multiplo”, che sciaguratamente si riscontra in molte produzioni contemporanee, il cui più evidente sintomo clinico è per l’appunto l’accumulo edematoso (ci sia consentito lo sgradevole aggettivo) di più di un epilogo, ciascuno fornito di giustificazioni e colpi a effetto non necessari.