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Primo spettacolo della stagione per il Teatro Cristoforo Colombo di Valdottavo, luogo ormai a noi familiare di cui più e più volte abbiamo consigliato la frequentazione ai nostri lettori.
Ad aprire il cartellone c’è il lungo solo di Maria Laura Caselli, che racconta la storia di Rachel Corrie, giovane americana uccisa a Gaza nel 2003.
Scenografia semplice ed efficace: scatoloni accatastati, dipinti o disegnati in modo da rappresentare luoghi e persone, tra cui si distinguono pochi altri oggetti fondamentali alla narrazione (un telefono, una radio, un diario, alcuni vestiti sparsi a terra).
L’attrice entra in scena di corsa e, trafelata, si aspetta un nostro benevolente buonasera e ci spiega che in camerino, appena qualche minuto fa, stava pensando a come affrontare il tema di cui si accinge a raccontare, poi legge un passo dal diario di Rachel, si cambia d’abito, il suo personaggio prende forma e lo spettacolo ha davvero inizio. In un primo momento l’impressione è che si prepari a saltare dall’essere sé stessa ad essere Rachel, ma dopo questa incertezza iniziale sul palco ci sarà Rachel per tutta la durata dello spettacolo, uno spettacolo ben definito, ragionato, in cui la quarta parete è ben solida. L’occhiolino iniziale viene quindi fagocitato dalla performance, lasciando lo spettatore a chiedersi per quale motivo un tentativo così goffo e incompleto di contatto con la platea faccia parte dello spettacolo.
Caselli cambia di registro con semplicità, riesce a occupare la scena con naturalezza, ma l’esaltazione con cui racconta risulta talvolta troppo travolgente, al punto da provocare un appiattimento generale. Poco aiutano, in questo senso, gli strumenti altri da lei: le voci dei genitori, che in alcuni momenti risuonano per tutta la sala, paiono fin troppo artefatte, come separate dalla linearità dello spettacolo, non neghiamo che possa aver inciso il volume forse troppo alto rispetto alla voce di lei, ma le varie voci esterne, e talvolta persino la musica, sono risultate come stonate.
Lo spettacolo è costruito in modo che al centro vi sia una ragazza della porta accanto (prendiamo l’espressione dalle note di regia), che fronteggiando qualcosa di troppo grande per lei finisce con l’esserne travolta, così che sul palco si alternano in modo quasi schizofrenico esaltazione, gioia e paura, e infine eroismo.
Attingendo ai diari si ricostruisce la vita personale della ragazza, lo stretto legame con i genitori, le amicizie, le decisioni impulsive. Non vi è un discorso politico che vada al di là della visione personale di Rachel, nessuna riflessione che disegni un quadro generale o definisca le ideologie, ci sono vita e morte e tanto basta per decidere da che parte stare.
L’impressione complessiva è quella di uno spettacolo dotato di un certo margine per maturare esteticamente, interessante nel tema affrontato, che facilmente sarebbe potuto scadere in una banalizzazione moralistica, e dall’approccio sincero, che riflette tutta l’ingenuità e a tratti l’immaturità di una ragazza poco più che adulta.