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Quartetto a due

Sguardazzo/recensione di "Quartett"

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Cosa: Quartett
Chi: Roberto Latini, Fulvio Cauteruccio, Valentina Banci
Dove: Prato, Teatro Fabbrichino
Quando: 02/12/2017
Per quanto: 55 minuti

È impegnativo, forse troppo, ma anche no, il teatro di Roberto Latini, fatto di scelte impossibili, sfide inesorabili e definitive: alla scena, ossia alla vita.
Alla scena,
anziché alla vita, con la scena come unica vita plausibile.
È impegnativo, da un lato, giacché per seguirne le tracce intellettuali è necessario dotarsi d’un vasto repertorio di suggestioni, esperienze, autori, un dedalo infinito di rimandi tanto fini quanto necessari.
Ma anche no, perché forse la strategia (anzi: la maniera) più sana di sentire quel teatro è abdicare: al pensiero, all’analisi; abbandonarsi al rollio del ritmo, della pulsazione musicale. Al Gioco. Accomodarsi scomodamente sull’ottovolante di opere vorticose, talvolta troppo opulente (pensiamo a Fortinbrasmaschine), che rischiano di lasciarci disorientati, forse perché incapaci a disorientarci.

Il Fabbrichino accoglie noi spettatori, tutti i volti coperti da maschere: teatro nel teatro, col teatro. Ai capi del lungo tavolo centrale, presenze bizzarre: un’attrice vestita da Wonder Woman, un attore nei panni di Superman. Non sono i due supereroi, bensì, sfacciatamente, interpreti alle prese con personaggi sghembi e, soprattutto, un testo ineffabile, densissimo, tarlato di rimandi, sia cólti sia pop, continue vie di fuga, inneschi esplosivi.
Heiner Müller scrive Quartett attraverso i decenni, dai Cinquanta agli Ottanta, traendone un dispositivo teatrale post-modernissimo, aggrumando letteratura e drammaturgia in una dimensione senza tempo né luogo, se non il qui e ora del teatro. È il confronto posteriore-postumo tra la marchesa di Merteuil e il conte di Valmont, protagonisti di quel capolavoro paradossale che fu Les liaisons dangereuses. Memoria e sesso, noia e teatro si snodano sdoppiati in un dialogo tra presenze che sfuggono senza requie, si sovrastano, si sostanziano in ciò che sono destinati a essere: personaggi, non persone, là dove la recita è (ed è maggiore della) vita.

S’intende come Müller addivenga autore ideale alla poetica di Latini, il quale, toltosi di scena, setta una macchina attoriale che è un autentico tritacarne per i corpi e le voci di Valentina Banci e Fulvio Cauteruccio. Gioco massimo, il testo si dissolve e specchia tra musica, gesto, i personaggi liquefatti da un flusso d’incoscienza lirico, avvolgente (pensiamo a I giganti della montagna, di Latini ovviamente): lui diventa lei, e viceversa (ecco il quartetto), tra continui e ferocissimi scoppi, ribaltamenti, concretizzati dalla lunga lastra del tavolo divenuta oscillante altalena.
Inutile tentar di stare al passo d’un testo scientemente fluviale, nella «follia sottocontrollo», ideale scespiriano imbevuto di Novecento mitteleuropeo: lasciar e lasciarsi andare, arrendersi per non soccombere, soccombere come forma di paradossale, ma inessenziale, vittoria.

Da parte loro, gli attori sono bimbi in un parco giochi: dando fondo a ogni risorsa disponibile, vocale e fisica, mutuano timbri, posture, soluzioni, microfoni, in un saggio completo dei rispettivi campionari espressivi. Particolarmente a suo agio Cauteruccio: dosa sapiente spada e fioretto, gigioneria e controllo. Ed è forse un valore aggiunto, per un lavoro che richiederebbe visioni reiterate, reiterate esposizioni per immergervisi più efficacemente, che il Latini attore, presenza tra le più potenti del nostro teatro, abbia lasciato il campo a due colleghi, declinati al proprio disegno, ma pure lasciati liberi di contribuirvi in creativa armonia: avrebbe potuto far da solo, ha, forse, “resistito”.

«Recitare? Che altro si può fare?»
Domanda residua, che è già risposta. Ed è già, ed è sempre stata, tutto.
Sfiliamo la maschera, non la sua resistenza sudata sul viso: applaudiamo.

VERDETTAZZO

Perché:
Se fosse... una droga sarebbe... un cartone di acido, da assumere con criterio e in sicurezza

Locandina dello spettacolo



Titolo: Quartett

di Heiner Müller
regia Roberto Latini
traduzione Saverio Vertone
con Valentina Banci e Fulvio Cauteruccio
produzione Teatro Metastasio di Prato


"Quartett è il doppio di un doppio. Il testo di Heiner Müller gioca con uno specchio in continua metamorfosi. A guardarci dentro, c’è una concertazione di concetti e frasi che sembra corteggiare il pensiero e le sue proiezioni. Un teatrino in cui i monologhi fanno la recita del dialogo e viceversa. Dal libertinismo de Les liasons dangéreuses di Pierre Choderlos de Laclos, Heiner Müller trasforma la marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont in personaggi dentro e fuori il ruolo delle parole di cui sono portatori. I due protagonisti si trovano in una condizione di estrema solitudine eppure nella necessità del meccanismo di relazione, sollecitato, disincantato, svilito, svelato, nel duello fondamentale tra la parte da interpretare e l’equilibrio dell’apparenza. Un uomo e una donna, uno di fronte all’altra, tra ascolto e relazione, spettatore uno dell’altra e attore uno per l’altra della tragicomica messinscena del Tempo." Roberto Latini

Igor Vazzaz
Toscofriulano, rockstar egonauta e maestro di vita, si occupa di teatro, sport, musica, enogastronomia. Scrive, suona, insegna, disimpara e, talvolta, pubblica libri o dischi. Il suo cane è pazzo.