Si entra in punta di piedi, dentro La cerimonia di Oscar De Summa, e se ne esce stremati, confusi. Si consuma un dramma familiare o questa è soltanto la quotidianità delle relazioni in famiglia? Una adolescente si trova immersa nel proprio vuoto e lo dà in pasto a una serie di adulti troppo impegnati a risolvere sé stessi per occuparsi di una vita alla ricerca di senso.
A noi esterni sembra una delle tante, senza particolarità: potrebbe non avere problemi, ha, dalla sua, la bellezza dell’età che in un immaginario di adulti non risolti provano a rappresentarla attraverso la ricerca del sogno e del desiderio originario, mentre lei si fissa sul possesso di un telefono nuovo.
Ognuno racconta sé stesso, cerca nuove esperienze, offre quello che ha a una ragazzina spaventata, annoiata, delusa, che resta vittima di un disturbo alimentare: è anoressica? È bulimica? È incastrata in un tardivo e lacerante complesso edipico?
Il cibo, altro protagonista, entra nel dramma: prova, senza riuscirci, a fissare le norme di una cerimonia. È cibo ricercato, preparato, abbondante, sognato; cibo che unisce e che, forse, è avvelenato. Ma no, non di questo si tratta.
Le parole, il testo incessante di cui i protagonisti sono portatori, le frasi che ci rincorrono proiettate sulla quinta grigia, un ambiente spoglio sapientemente illuminato, con una scelta musicale appropriata, invadente, talvolta didascalica.
A tratti, la scena diventa uno schermo cinematografico e lì si consuma la crisi del padre, dell’autorità, si rimanda alla figura del Padre divino per autoassolversi: non ha forse chiesto ad Abramo di uccidere il figlio? Meglio giocarsela con il giovanilismo, con la ricerca di nuovi piaceri e, data l’incompatibilità di vita con la propria moglie, rimanere affascinato dal proprio sesso, perché no?
Alla figura materna viene lasciato il ruolo dell’autorità, il ruolo delle regole e della disperazione: non è forse Maria che prendiamo a modello, madre delle madri, colei che per prima non è riuscita a salvare il figlio. Non può riuscirci una donna adulta che rimpiange il tempo in cui le regole erano nette e si doveva solo seguirle, che non comprende sua figlia, oggi, perché è lei stessa a essere rimasta ai propri desideri bambini, ai piaceri infantili. Una donna stanca che posa lo sguardo su ciò che accade, ma non riesce a vedere, a distinguere.
Molto bravi gli attori: intensi, entrano ed escono dalla scena tentando di uscire da sé stessi, alla presa con un testo martellante, a tratti simbolico, che si muove su diversi registri linguistici, dal quotidiano al poetico, che richiede cambi d’umore improvvisi, diverse modalità di approccio, anche quando disegna un creativo zio che si mostra libero dai legami, capace ancora di disegnare progetti di riscatto e di raccontarle favole zen.