Ci troviamo in un futuro indeterminato, invaso da robot che, per la loro efficienza, hanno sostituito l’uomo in tutte le mansioni… ma si può parlare davvero di una realtà così distante? Il problema diviene quasi etico e, infatti, il discrimine che separa l’essere umano dall’oggetto antropico è sempre minore. Scienziati e filosofi dibattono da anni sul ruolo degli automi all’interno della società, sulla loro trasformazione in macchine pensanti, dotate di una coscienza. Anche la letteratura si è cimentata in questo teatro quasi apocalittico, dettando precetti che hanno ispirato esperti di meccanica, intelligenza artificiale e cibernetica; basti pensare a Isaac Asimov, che rivoluzionò il concetto di robot con tre semplici leggi della robotica.
Questo lo scenario presentato dallo spettacolo OK Robot, proposto dalla compagnia Teatro delle briciole. I protagonisti sono due esemplari di Ok Robot (i migliori androidi progettati fino a quel momento, in grado di svolgere qualsiasi attività umana, tranne quella di pensare), interpretati da Simone Evangelisti e Agnese Scotti, abbigliati con calzamaglie nivee. Lo sfondo che accompagna tutta la rappresentazione è scuro, forse per lasciare libera immaginazione allo spettatore riguardo all’ambiente in cui si muovono i due automi, destinati a essere rottamati, inspiegabilmente. Questo è, infatti, ciò che accade loro, modelli robotici non più funzionanti: vengono così catapultati in una discarica dove saranno costretti a passare tutto il resto della loro vita… ma hanno una vita?
Il problema nasce proprio quando i due comprendono di avere una batteria infinita e di non potersi spegnere, di non poter morire. Così tutta la rappresentazione si concentra sull’ingannare il tempo, tentando di impegnarsi in banali attività umane che, però, causa la goffaggine dei due personaggi, suscitano la risata da parte di un pubblico formato da più che giovanissimi. I movimenti sono, infatti, meccanici, accompagnati da musiche metalliche a rendere le due figure ancora più impacciate, robotiche, appunto. I movimenti del viso sono ben costruiti, articolati allo scopo di dare vita a espressioni quasi agghiaccianti, dis-umane. Centrale è il ruolo è delle luci che, sincronizzate al ritmo musicale, contribuiscono a creare un’atmosfera futuristica. Gli attori si muovono brillantemente in questo quadro, assai efficace a rendere l’idea del paradosso di una “condanna all’eternità”.
Nel complesso la performance è accurata, ben condotta e comprensibile a tutta la platea. Il pubblico ha dimostrato di seguire la vicenda, talvolta partecipando emotivamente, risultato non sempre facile da ottenere. Sarebbe, però, fuorviante considerare un lavoro come Ok Robot alla stregua di un “semplice” spettacolo per bambini, dal momento che numerosi sono gli spunti offerti alla riflessione, così come i riferimenti “alti” più o meno espliciti al suo interno. Il problema dell’integrazione di automi dotati di un’intelligenza artificiale all’interno della società non è molto lontano dall’attualità e la questione, sotto molti punti di vista, è sempre aperta e molto dibattuta.
Alessandro Porta