Siamo ancora una volta al Teatro Colombo di Valdottavo, dove quello con Stefano Detassis e Maura Pettorruso è divenuto, ormai, un appuntamento annuale (lo saprete se ci seguite abbastanza da aver letto a proposito dei precedenti lavori ispirati a Hemingway o Buzzati, per non tacere del bel questionazzo a due voci rilasciatoci due anni or sono).
Questa volta, in scena troviamo solo lui, abiti eleganti, espressione mite.
Con faticosa, pacata lentezza inizia a scalare una rampa coperta di terra, unico oggetto presente in scena: ogni passo smuove il terriccio, e un odore umido si spande presto nella sala.
L’attore dà voce a Bertrand Russell, la cui ascesa quieta è la stancante ricerca della felicità. Il carattere filosofico della riflessione è riassorbito nelle forme morbide della narrazione: Pettorruso (in veste di regista e drammaturga, come spesso accade) sembra prenderci per mano, al fine di descriverci una struttura mentale complessa, riportandola a eventi della vita del filosofo. L’amore prende allora fattezze femminili, e l’idea si mescola indistintamente con l’atto fisico. La matematica diviene soddisfazione individuale, e il riconoscimento di un ordine superiore si riconduce quasi narcisisticamente alle esperienze del singolo. L’esposizione di eventi biografici significativi (il primo amore e la sua fine, la nascita e il rapporto con la figlia) è accompagnata da musiche commoventi, mirate a smuovere la sensibilità dello spettatore: il tentativo di un coinvolgimento emotivo vanifica in parte il possibile punto di forza di uno spettacolo che diventerebbe più incisivo, ma forse di più difficile fruizione, se puntasse maggiormente sulla riflessione piuttosto che sulla descrizione narrativa.
Il personaggio è solo, e il confronto a cui si allude nel sottotitolo (dialogo tra Bertrand Russell e Cassiopea) emerge soltanto sul finire dello spettacolo, ampliando l’orizzonte: sul concludersi della vita l’uomo sembra riconoscere la necessità dell’incontro con l’altro, che nei fatti raccontati appare piuttosto come semplice strumento per la ricerca del singolo, mentre adesso diventa un’istanza, anche soltanto linguistica (il personaggio parla a una Cassiopea lontana e priva di voce, che prende corpo solo attraverso le sue parole), con cui misurarsi senza bisogno di rifletterla su di sé.
In un’ora circa vengono condensate numerose riflessioni sull’esistenza individuale, sulla socialità, sulla morale, e l’abilità di Detassis risiede nel saper mantenere sempre un tono leggero ma non superficiale, rendendo lineare, pulito, il ragionamento e serena la scalata verso la felicità, che viene poi realmente conquistata, e sboccia accanto ad una pietra, sul terriccio polveroso.
Il personaggio si stende, e sembra abbandonarsi gioiosamente alla morte, anch’essa conquistata con impegno, tra le inaspettate ma coerenti note di Starman.