ARCHIVIO SPETTACOLI
A night in Kinshasa, F. Buffa e M. E. Marelli (2018)
Titolo: A night in Kinshasa
Nell’autunno del ‘74 in Africa, a Kinshasa, il dittatore Mobutu regalò ai suoi sudditi il match di boxe del millennio per il titolo mondiale dei massimi tra lo sfidante Muhammad Ali e il detentore George Foreman. “È un incontro epocale che va al di là della boxe, un incontro che parla di riscatto sociale, di pace, di diritti civili”.
E da lì parte il racconto di Federico Buffa, A night in Kinshasa, giornalista sportivo che si è imposto all’attenzione del pubblico per la capacità di trasmettere le storie dei campioni e degli eventi sportivi. All’interno della cornice visionaria della regista Maria Elisabetta Marelli, oltre a Buffa, in scena il pianoforte di Alessandro Nidi e le percussioni di Sebastiano Nidi.
Una produzione Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano e un progetto MISMAONDA.
‘Da Louisville a Indianapolis a Cincinnati, percorrerò il Tenessee, la Florida e il Mississipi e mostrerò ai neri d’America che i loro antenati sono in Africa. Dio mi ha prescelto, la boxe è solo il mezzo con cui racconterò l’Africa alla mia gente, sono sicuro che non ne sanno niente, anch’io non ne sapevo niente. Sarò il ponte tra l’Africa e l’America. Devo battere George Foreman!’
Autunno del 1974, Kinshasa, Zaire.
Il dittatore Mobutu regala ai suoi sudditi il match di boxe del millennio per il titolo mondiale dei massimi, tra lo sfidante Muhammad Ali (Cassius Clay, prima della conversione all’Islam) e il detentore George Foreman. Ali ha 32 anni, l’altro 25. Sono entrambi neri afroamericani, ma per la gente di Mobutu, Ali è il nero d’Africa che torna dai suoi fratelli, George è un nero non ostile, complice dei bianchi. Tanta gente assedia lo stadio dove ci sarà il match e grida «Alì boma yé», Alì uccidilo.
“È un incontro epocale che va al di là della boxe, un incontro che parla di riscatto sociale, di pace, di diritti civili.
E nella consueta sinfonia di contraddizioni che è la storia di Muhammad Ali, il paradosso è che l’incontro simbolo della libertà, ha luogo in un paese oltraggiato prima dal colonialismo, poi da una dittatura che sarebbe durata trent’anni e poi ancora dalla guerra”.
Ali torna nella terra dei suoi avi, a riscoprire le sue origini.
‘Sono africano, l’Africa è la mia terra. Da lì veniamo’.
Sta nelle strade, va negli ospedali, incontra i bambini. Decide di poter trasmettere quello che ha visto ai neri d’America, agli emarginati, a quelli senza sussidi che non hanno coscienza di se stessi. Vuole stare in mezzo ai drogati, ai disperati, alle prostitute. Questo racconta ai giornalisti”.
E da lì parte il racconto di FEDERICO BUFFA, giornalista sportivo che si è imposto all’attenzione del pubblico per la straordinaria capacità di raccontare le storie dei campioni e degli eventi sportivi.
Una narrazione sincopata, tenuta “sulle corde” da una serrata partitura musicale scritta ed eseguita al pianoforte da Alessandro Nidi e ritmata dalle percussioni di Sebastiano Nidi, all’interno della cornice visionaria della regista Maria Elisabetta Marelli.
“Ali dopo quella lunga notte a Kinshasa si sente finalmente libero, ha un sogno nuovo in cui credere.
È libero perfino di rappresentare l’America: l’America è tutta per lui. Il mondo intero lo è.
La storia della dittatura di Mobutu sarà ancora lunga, ma all’alba di quel nuovo giorno i congolesi festeggiano come in una purificazione, colmi di speranza e grati a quell’uomo che da solo aveva sconfitto il sistema”.