Fumo, pro-fumo di incenso, musica in sottofondo.
Sospiri lievi, poi più pesanti: qualcuno, forse, sta dormendo.
«Io la notte non dormo, sono tre anni che non dormo, io invece di dormire, penso alle persone» enuncia per poi soffermarsi sul suono della “s” nelle parole “penso” e “persone”. Lentamente, tra il buio e il fumo, intravediamo una figura femminile, fasciata da un body nero: gioca con il microfono, sottolineando con la voce alcuni suoni sino a tramutarli in versi gutturali, che si trasformano in percussioni e ritmi da discoteca. Licia Lanera è sola in scena, protagonista indiscussa di questa pièce di circa 50 minuti al Teatro Laboratorio di Verona, in cui dà voce e suono ad alcune celebri fiabe come Cenerentola, La sirenetta, Biancaneve e i sette nani, La regina delle nevi e Scarpette rosse, facendo risuonare tutte le caratteristiche dark, molto spesso censurate al giovane pubblico.
La storia inizia con la protagonista impossibilitata a dormire e, come in tutte le più belle storie, cerca di addormentarsi raccontando(ci) delle fiabe, dalle tinte ora grottesche ora pulp. È così che con The black’s tales tour, Biancaneve si dota del cerchietto per capelli avvelenato e le sorellastre di Cenerentola si mozzano i piedi per entrare nella famosa scarpetta di cristallo.
Lanera è come se acquisisse tutte le caratteristiche proprie della fiaba, seguendo i dettami di Vladimir Propp, mettendoli in scena in una versione pop, per quanto riguarda il linguaggio, ma poco popolare per la consuetudine moderna secondo cui le fiabe dovrebbero essere edulcorate, rese “sostenibili” per i bambini. L’intero pezzo è giocato sulla soluzione per cui, sfruttando il meccanismo della ripetizione fonetica, le formule magiche presenti nelle storie vengono trasformate in motivetti che, con l’aggiunta sonora di percussioni e bassi, diventano vere e proprie hit da discoteca. In questo, troviamo l’esperimento interessante, proprio nel concetto di accostare la tradizione della “formula magica” della fiaba con un attuale mezzo di comunicazione tra i giovani, che è la ripetizione quasi ossessiva di una sequenza di note.
Le fiabe si mescolano alla vita di Licia: pensieri che la affliggono, ricordi offuscati che si intrecciano, a rivelare come la perfezione non esista nemmeno nella quotidianità delle principesse. Non è, infatti, un caso la veste succinta con stivaloni neri attillati a mostrare la carnalità dell’attrice, con un corpo non tonico ma dalla grande forza espressiva, che sottolinea e rafforza il messaggio: in fondo, tutti abbiamo dei difetti; l’autenticità sta proprio nell’imperfezione.
A tratti, alcune reiterazioni possono risultare eccessive, snervanti, soprattutto perché ci si interroga su quale possa essere l’epilogo finale.
La scena è completamente vuota se non per una postazione dove lei sale in alcuni momenti, echeggiando le ragazze immagine sui cubi delle discoteche.
Scopriremo che il podio è creato da alcune lettere che, nel finale, lei metterà in scena giocando a un paroliere improvvisato con un’orata nel frigo, che le promette felicità se riuscirà a scrivere la parola “eternità”. Principia con un RIEN, sulle note della celebre Non, je ne regrette rien di Edith Piaf, per passare a RETE, TENERA, TENERTI e concludere con ETERNITÀ, con una n alla rovescia, perché anche questa parola, alla fine è imperfetta. Come lei, come le principesse, come noi.