Che bellezza, il teatro al mattino. Non le scolaresche deportate in massa, date in pasto a Pirandelli (o Goldoni, o Shakespeare) sotto dita di polvere: una delle ragioni per cui l’arte scenica risulta poco attrattiva è proprio certa (c)attività scolastica, animata forse dalle migliori intenzioni, ma che finisce per confermare l’idea secondo cui in platea ci si annoi a morte. Parliamo, invece, della baldanzosa scelta del festival vicentino Muoiono gli Dei che non sono cari ai giovani, che ha pensato, non solo, di inserire 3-allestimenti-3 d’una gagliardissima scuola di recitazione locale (Tema Cultura, Mogliano Veneto), ma di proporre uno dei lavori alle 11 antimeridiane: ottimo, e per una volta non siamo ironici.
Freschi di colazione, restiamo subito ammirati dal complesso palladiano, per quanto già conosciuto: vedremo Dalla parte di Orfeo, ultimo titolo d’un trittico tragico (gli altri: Apologia di Socrate: la verità è come l’acqua ed Ecuba. Ares: il dio della carneficina) ideato da Giovanna Cordova e che vede in scena un nutrito gruppo di giovani, tra gli otto e i vent’anni. Non siamo estranei: dovendo produrre un contributo su questi allestimenti per il Diario della rassegna, avevamo visto video e parlato diffusamente con la regista.
Non si pensi né al teatro (per) ragazzi (universo amato grazie al Lucca Teatro Festival, ma che contiene tutto e il suo contrario) né al teatro di ragazzi: l’ora scarsa di performance cui abbiamo assistito è teatro-e-basta, senza sconti, eccezioni, mercanteggii sulla base della verde età degli interpreti. È Gioco, quindi serissimo, non, invece, Scherzo, buttato là, tanto per fare.
La storia di Orfeo, musico-poeta disceso nell’Ade a riprendersi l’amata Euridice salvo condannarla per essersi voltato, è il fulcro d’un lavoro di indagine ambiziosa, rielaborazione d’un mito tra i più profondi e visitati della nostra cultura.
L’ampio spazio dell’Olimpico è spoglio, nella potenza immaginifica del disegno originale, abitata da uno sciame di presenze brulicante, pletorico. Ecco le anime dei morti, condannate a degenza coatta in quello che parrebbe un istituto per anziani: tra loro, lo smarrito Orfeo di Filippo Valese, centrato, intenso, che alterna forza a tonalità più delicate, ma, soprattutto, il debordante, sinuoso “segretario” reso da Tommaso Zavan, giacca nera di pelle sul corpo magrissimo, perfettamente a proprio agio col dandy ben sopra le righe. Risponde loro la coralità, multiforme quanto compatta, degli altri, autentico tratto essenziale d’un lavoro mirabile per capacità ritmiche, polifonia e applicazione d’un impianto scenico ad altissimo coefficiente di rischio: le voci rimbalzano, si fondono a riacquisire un’autonomia senza nome, nel flusso magmatico di rigorosa coerenza drammaturgica.
Perché Orfeo si volta? Ha deciso lui, pur senza darsene conto, di lasciare l’amata nell’Ade?
Sulla carta, spettacolo di-ragazzi, ma, a dire il vero, questo lavoro farebbe sfigurare un gran numero d’allestimenti “adulti”: movimenti e interpretazione (aspetti curati da Silvia Bennett e Caterina Simonelli) contribuiscono, con musica e luci, a una resa di rarissima efficacia, denotando una spiazzante, felicissima perizia. E ammiriamo questi ragazzi che si confrontano con la letteratura tout-court, senza sconti, senza riduzioni.
Arriva Euridice (Paola Zuliani): instilla il dubbio che la decisione finale non sia stata, in realtà, dell’innamorato. Personalmente, diffidiamo, ma l’epoca lo può suggerire.
Senza dubbio, però, ci spelliamo le mani, compatendo i due cretini, più attempati dello scrivente, che per la quasi intera durata dello spettacolo, hanno cincischiato coi propri smartphone. E poi si dice dei ragazzi…