Talvolta, si va a ritroso: così ci è capitato con il fumetto a teatro, gagliarda operazione lanciata da Lucca Comics & Games e presa al volo dalla compagnia Teatri d’Imbarco.
A fine ottobre, siamo partiti dal terzo e sinora ultimo episodio di questo ambizioso progetto, Io sono Cinzia, realizzazione convincente a tal punto da indurci ad accorrere in quel di Fucecchio per la rimessa in scena di Kobane Calling on Stage, precedente cimento del gruppo con una graphic novel, successivo al primo tentativo, il Corto Maltese del 2017.
Anche in questo caso, prima dello spettacolo ci siamo procurati l’oggetto del riadattamento, notando subito che se Cinzia è, ipso facto, una commedia brillante, quella di Zerocalcare ha i tratti di un’opera più articolata: alle caratteristiche del reportage di guerra, infatti, somma quelle d’una narrazione spiccatamente personale; il tutto, al servizio di un’encomiabile, coraggiosa opera d’informazione circa questioni assai lontane dalle prime pagine dei giornali, dai servizi dei tg, nonostante l’indiscutibile importanza.
Un oggetto strano, dunque, sicuramente necessario e, pure nella sua natura di fumetto, assai complesso da traslare su un palco.
La regia di Nicola Zavagli opta anche qui per una sorta di calco diegetico e segue passo passo le strisce: si parte da dove ha inizio il volume, collocandone i personaggi e le storie in un’ampia e scura scenografia, sormontata da un telo ove si riproducono ingrandimenti delle vignette originali.
Lo sdoppiamento scena/schermo è qui stringente, cooperando fattivamente alla messa a fuoco delle vicende rappresentate. La narrazione calcarea è mossa, ricca di spunti, digressioni, commentacci umoristici, secondo una strategia consolidata: le presenze “aliene” dei fumetti (oltre al celebre armadillo, un mammuth e altre figure assortite) sono tradotte fisicamente mediante grossi mascheroni sorretti a braccio dai rispettivi interpreti; gli attori si trovano a recitare “sovrastati” dalle fattezze dei peculiari personaggi, soluzione palesemente brechtiana a impedire qualsiasi tipo di immedesimazione.
Gli spettatori si sintonizzano subito sul ritmo rapido, costantemente ravvivato dalla recitazione vibrante d’un cast numeroso, tra cui si distinguono Davide Paciolla (nei panni del protagonista), la felice esuberanza di Francesco Giordano e l’eclettismo di Cristina Poccardi.
L’impressione è, però, d’una macchina teatrale meno fluida rispetto a Cinzia, riferimento ingombrante quanto inevitabile.
I motivi potrebbero risiedere nella natura stessa della fonte, il suo essere (anche) diario che, forse, avrebbe richiesto un’impostazione diversa, più ritagliata su una dimensione intima, foss’anche un monologo, magari con un creativo impiego della tecnologia.
Nel fumetto si entra presto in comunicazione col protagonista-narratore, la cui voce ha una doppia valenza: illustrare il viaggio e parlare, spesso umoristicamente, di sé. In scena, questa dinamica muta di senso, e il Calcare attore tra gli attori appare tecnicamente (non per demeriti del suo interprete) impossibilitato a tracciare quel peculiare legame affettivo col singolo spettatore (si legge da soli, mentre a teatro si è in molti). Pure la scelta di far recitare come stranieri gli interpreti dei personaggi via via intervistati ci pare rischiosa, giacché l’effetto caricatura è sempre in agguato: optare per l’italiano non sarebbe stato, forse, nocivo. Elementi che certo non rovinano il risultato finale, comunque assai gradevole, ma rendono lo spettacolo meno abrasivo e urgente del fumetto, in chiave sia poetica e sia politica: quest’ultimo è un capolavoro, la versione scenica “soltanto” un lavoro ben fatto. Non che sia poco, tutt’altro, ma Kobane l’abbiamo vista meglio sulla carta.