Ed eccoci qua, a vedere il riadattamento teatrale di un film che a suo tempo fece storia: L’attimo fuggente, Dead Poets Society (Peter Weir 1989). Protagonista Robin Williams. Una sfida certo interessante. E notiamo con piacere la folta presenza di studenti tra gli spettatori. La storia dovrebbe essere risaputa. Siamo alla fine degli anni ’50. Un insegnante “eccentrico” usa la poesia come “didattica per la vita”, per spingere i propri studenti a trovare la propria strada. Ma, ahimé, il sistema non gradisce e la vicenda finisce in tragedia: uno studente si suicida e il professore viene allontanato. Ma il giorno dell’addio gli studenti salgono in piedi sui banchi (in una scena memorabile) per rendere omaggio al professore citando la famosa frase di una poesia di Walt Whitman «O capitano! Mio capitano!».
(Frase che oggi, purtroppo, pare abbia acquisito un senso totalmente opposto dall’originale.)
Due grandi pagine, sospese come vele sul palco, accolgono gli spettatori all’ingresso in sala. Faranno da supporto alle proiezioni video a indicare i diversi luoghi della vicenda: l’aula scolastica, la zona comune, l’ufficio del preside, e così via. Sei sedie, spostate a vista dagli attori, rimodellano lo spazio riconfigurando ogni volta le posizioni dei personaggi nelle diverse scene. E così, dopo la campanella che annuncia l’inizio dello spettacolo, vediamo entrare in classe i sei giovani protagonisti della vicenda. Il preside fa il classico discorso di apertura chiedendo agli studenti di ripetere quali sono i quattro pilastri “comportamentali” alla base di questa onorata scuola. Siamo in un collegio americano e la situazione lascia intendere un clima piuttosto oppressivo.
Da subito ci viene da notare che la recitazione è un po’ troppo sopra le righe. Ma andiamo avanti. Entra il prof fischiettando e inizia le sua lezione facendo strappare le prime pagine del libro di testo. Poi invita gli studenti a “cogliere l’attimo per rendere straordinaria la propria vita”. Manca, però, il carisma necessario per rendere davvero provocatoria e credibile quella che dovrebbe essere una “lezione di vita”: inizia, così, a svilupparsi la vicenda ricalcando sulla scena le diverse sequenze del film. Ma i percorsi psicologici che muovono i comportamenti sono piuttosto abbozzati. Mancano le sfumature che permettono di comprendere veramente come si arriva al dramma finale. La rappresentazione procede per stereotipi recitativi che, secondo noi, tolgono spessore alla vicenda. Per esempio: quando il prof racconta del gruppo “clandestino” di poesia, la setta dei poeti estinti, i ragazzi decidono senza batter ciglio, in maniera un po’ troppo facile e automatica, di replicare l’esperienza.
Restano comunque belle e interessanti le soluzioni visive con un utilizzo piacevole degli elementi scenografici e delle luci in rapporto alle videoproiezioni. Ci assale il dubbio che se non si conoscesse il film, se non se ne avesse memoria, la vicenda potrebbe sembrare un po’ troppo meccanica e le tematiche filosofiche, didattiche ed esistenziali che ne muovono lo sviluppo poco credibili. Si dà più importanza al ritmo delle situazioni che all’approfondimento degli argomenti. Notiamo infatti che il pubblico di studenti fa partire applausi a scena aperta solo in corrispondenza delle battute più semplici, in cui evidentemente è possibile riconoscersi.
Il resto del pubblico adulto pare comunque grato di aver rivisto una vicenda che a suo tempo lo emozionò. Oggi i tempi sono cambiati e avremmo preferito un’operazione che riuscisse ad attualizzare le problematiche del tempo in un contesto attuale, dove certo non è più l’abuso della disciplina e del potere genitoriale, che complica la maturazione dei nostri figli e delle nostre figlie.