Siamo gente di parola, non foss’altro perché scriviamo: a dispetto delle quasi due settimane trascorse dallo speciale sguardazzo dedicato ai video Dante e il teatro realizzati per la Regione Toscana da Federico Tiezzi, Sandro Lombardi e Rodolfo Sacchettini, eccoci di nuovo al pezzo per completare la triade di articoli dedicati al Dantedì che l’ente ha pubblicato in relazione alla scena.
Dantedì 2020 | Residenze Artistiche Toscane (28 contributi, per meno di un’ora di durata complessiva).
Nel vederli uno a uno, prendendo appunti, ci ha colpito innanzitutto, il numero medio di visualizzazioni: raramente è superata la soglia delle 300, il che, ovviamente, non autorizza nessuna conclusione circa l’intrinseca qualità delle clip, ma dice parecchio sulla capacità di sostenere una propria iniziativa da parte dell’ente promotore.
Giusto per fare un confronto: il video Accoppiamento di un cane con un gatto, pubblicato da un canale barese circa un anno fa, è stato visto 2.571.491 di volte e, spoiler, alla fine le due bestiole sembrano coccolarsi.
Inoltrandoci nella visione, senza voler per forza dare i voti uno a uno (non è una gara di tuffi), possiamo dire che il cimento con il dettato dantesco è stato variamente interpretato dagli artisti coinvolti. C’è chi ha utilizzato la forma canzone, chi si è accomodato nella prevedibile dimensione declamatoria, chi, a nostro avviso in modo più meritevole, ha provato a sperimentare qualcosa. La grande varietà degli esiti, unitamente alle perplessità destate dai numeri sopra riportati, ci ha fatto porre la questione delle condizioni produttive: troppo spesso, nella fruizione di un’opera, si è portati a concentrarsi sul risultato, senza considerarne le circostanze di realizzazione, che non sono soltanto relative a chi (e se) mette i soldi o ai tempi concessi per l’allestimento, ma pure al senso complessivo dell’operazione, che talvolta non è affatto legato alla volontà o alla capacità degli artisti coinvolti.
Abbiamo, quindi, parlato con alcuni dei partecipanti, confermando quanto gli indizi ci avevano fatto sospettare: l’iniziativa è stata messa su quasi estemporaneamente, chiedendo alle compagnie un contributo video da realizzare in pochi giorni, cosa che più o meno tutti hanno poi fatto, coi mezzi a disposizione e, ça va sans dire, a costo zero.
Va da sé che sarebbe del tutto improprio, dunque, passare a fil di spada ogni video, sottolineando eventuali difetti, perché se le condizioni produttive sono deficitarie, “prendersela” col risultato finale è quantomai miope e, fondamentalmente, inutile.
Di certo, possiamo dire che qualche contributo ci è parso degno di nota, e segnalarlo, alla luce di quanto appena detto, non può certo esser considerato un affronto agli altri.
Procediamo.
Officine Papage, Inferno VI, 1-36, I golosi
Una lunga serie di dettagli a ritrarre occhi, chiusi, aperti, stretti, fa da sfondo visivo a alla lettura resa da Marco Pasquinucci in modo tutt’altro che trombone. La scelta, pure nell’effetto applicato alla voce, è abbastanza semplice, ma efficace, frutto di un pensiero. La scansione procede in modo paratattico, con l’ultima immagine quasi in primo piano.
Straligut Teatro, Inferno VIII, 82-96, Arrivo alla città di Dite
Un primo piano, ben inquadrato e con luce scientemente dosata, ci mostra il viso di Anna Amato: declama in versi, con misura e intensità, su un sottofondo d’archi. Idea che, pur non essendo il massimo dell’originalità, si fa apprezzare per applicazione e gusto.
Kinkaleri, Inferno IX, 43-72, le Erinni
Ottimo l’audio, su un schermo inizialmente scuro che poi inquadra una palestra di danza, con 4 corpi uno disteso sull’altro. Poco più di un minuto comunque potente.
Teatro di Anghiari, Inferno X, 22-72, Farinata degli Uberti
C’è un idea, un po’ d’ironia (forse facile), un montaggio che alterna il viso dell’attore Andrea Merendelli fuori-sincro rispetto alla declamazione di uno dei passi più celebri della cantica prima e, nel complesso, un’articolazione dedicata, frutto evidente di un pensiero e un lavoro apposito. Date le condizioni di cui abbiamo parlato in precedenza, questo risultato ci pare lodevole.
Teatri d’Imbarco/Teatro delle Spiagge, Inferno XIII, Pier della Vigna
Beatrice Visibelli non legge, recita, usando volto, braccia e mani; è inquadrata a mezza figura, in un efficace impianto visivo di Livia Cannella. La fotografia è contrastata e le immagini alternate in sovrimpressione sottolineano i passaggi più forti.
Sosta Palmizi, Inferno XIII, 108-151, gli scialacquatori
Ritmo di mani e body percussion, in un quadro ancor più ridotto rispetto alla verticalità delle riprese da smartphone. Il montaggio è franto, en plein air, con maschere che parrebbero avvicinare l’effige di Dante a quella di Pulcinella. Godibile, divertente, tutt’altro che semplicistico: uno dei migliori contributi.
ALDES, Inferno XXIV, 78-120, i ladri
Didascalia iniziale con una terzina seguita da un fulminante bianco e nero con Mariano Nieddu che recita rapidissimo, spezzato, al punto che da obnubilare, slogare il testo, linguisticamente manomesso a mo’ di fanfola: i movimenti delle mani (il forte chiaroscuro non permette, volutamente, di vedere le braccia) accompagnano il dettato. Ironico, tagliente, da apprezzare.
Chille de la balanza, introduzione al Canto XXVI di Primo Levi
Sulle immagini dello spettacolo Kamikaze, realizzato dalla compagnia nel 2002, la lettura dell’introduzione al Canto XXVI che Primo Levi racconta in Se questo è un uomo. Si tratta di una deviazione sensata, una variazione sul tema che ci può stare tutta.
KanterStrasse, Inferno XXX, 91-132, alchimisti e falsari
Simone Martini, a mezza figura, si cala nei panni di Jerry Lewis nella celeberrima scena della macchina da scrivere (tratta dal film Dove vai sono guai!, titolo originale Who’s Minding the Store?, diretto da Frank Tashlin nel 1963): capelli scarmigliati, occhi pesti come se si fosse appena alzato, dattiloscrive a tempo di musica mentre, in alto, scorrono alcuni brani del testo. Idea del tutto coerente col tema del canto e con un impiego a nostro avviso appropriato ed encomiabile del meccanismo comico.
La nostra personalissima crestomazia si ferma qui, senza nulla togliere agli esclusi, ovviamente. La speranza, semmai, è di poter contribuire, con il presente articolo, a fare in modo che i video realizzati riescano ad aumentare il numero di visualizzazioni, senza, ovviamente, pretendere di impensierire i coiti interspecisti di cui sopra.
Di certo, quel che ci pare doveroso ribadire (ci torneremo sopra sicuramente) è che, comunque, il teatro non è il video, affermazione che ci pare di lapalissiana banalità, ma che ai tempi di ministri che ipotizzano un Netflix del teatro ci tocca ribadire fermamente, e non certo per sciocco purismo. Il teatro è forse la forma impura per eccellenza, che può accogliere in sé tutti i codici espressivi esistenti, ma, per essere teatro, vuole la compresenza e la relativa liberazione dello sguardo.
Su quest’ultimo punto, lo garantiamo, torneremo quanto prima.