Io, che sono Arlecchino, non stravedo per i bambini.
A prescindere dalla taglia in cui si presentano (neonati, piccoli, infanti, ragazzini), mi paiono sempre come forme larvali degli uomini che saranno: futuri geometri, assicuratori, immobiliaristi, aspiranti giornalisti, meccanici.
Nelle loro faccine compunte e, solo per gli ingenui, adorabili, s’intravede l’implacabile urgenza della vita che faranno. Da maschera qual sono, è per me arduo riuscire a illudermi che essi possano diventare minimamente interessanti.
Da Arlecchino, però, mi sono ritrovato a seguire un festival di teatro ragazzi, genere teatrale che, sì, ho sempre frequentato da carattere in scena, mai però da spettatore.
Ne ho ricavato non poche impressioni, che qui voglio condividere con voi, dal momento che, non senza stupore, mi sono trovato a vedere spettacoli pregevolissimi in grado di instillare ulteriori dubbi circa il mio precarissimo statuto di spettatore.
Ecco, dunque, 7 buone ragioni a favore del teatro ragazzi:
- gli spettacoli non sono alle 21, ma a orari più vari e consoni (molte le matinées);
in tal modo, la spesso ardua digestione serotina è libera di seguire il suo corso naturale - gli spettacoli non durano più di un’ora, un’ora e dieci massimo;
francamente, questa mi pare una ragione che dovrebbe valere triplo e chiudere qui ogni possibile dibattito - gli spunti intellettuali non sono “spiattellati”, ma integrati, o nascosti, nelle pieghe dell’allestimento;
il corollario: niente pippe mentali né sòle spacciate per chissà cosa (ah, il tracciato geoemotico di uno “spettacolone” visto qualche anno fa…) - la sperimentazione sul linguaggio è autentica, nonché commisurata con la necessità di “venire incontro” in qualche modo al pubblico;
ciò dà adito, spesso, a scenografie ben pensate, comunicative e dotate di grande creatività, e, altrettanto spesso, a un’autentica commistione di linguaggi, con il bell’utilizzo pure di nuove tecnologie - il pubblico non si censura e, a suo modo, esprime dissenso;
dimenticate le panzane sui cuccioli d’uomo facilmente comprabili e “naturalmente” inclini alla bontà, niente di più falso; se lo spettacolo è poco interessante o, comunque, poco soddisfacente, la sensazione in sala è palpabile e per niente mediata (nel teatro “dei grandi” non s’ode un fischio da trent’anni) - non esiste un impianto divistico vero e proprio (come avviene, anche per i bambini, al cinema e in tv);
ciò conferisce ai realizzatori grande libertà d’azione - non si parla di attualità o di politica, o, almeno, si ha il buon gusto di farlo in senso metaforico;
non si ricatta, mediante l’ipotetica “giustezza” dell’argomento, il consenso del pubblico
Resterebbe un’ultima motivazione a favore di questa piccola panacea scenica, ossia il fatto che, a veder certi spettacoli, non ci sono né critici né addetti ai lavori, ma non voglio certo passare per il solito misantropo (che sono); certo, restano sempre i mocciosi, ma dicono che un teatro deserto avrebbe poco senso. O no?